Addio a Pete Seeger, folksinger e pacifista (di Sara Fabrizi)

“This machine surrounds hate and forces it to surrender.”

1610047_10203133080671021_1747494436_n“Questo strumento circonda l’odio e lo costringe ad arrendersi. “ Una frase lapidaria e potentissima nella sua scarna semplicità. Un vero inno alla pace e alle potenzialità pacifiste della musica.

E’ la frase incisa su un banjo, il banjo in questione appartiene a Pete Seeger. Anzi, purtroppo, sarebbe più esatto dire apparteneva. Sì, perché proprio ieri 27 gennaio è venuto a mancare uno dei più grandi folk singer e pacifisti che la storia ricordi. Morto all’età 94 anni dopo una vita votata alla musica, all’impegno per i diritti civili e all’ecologismo. Ci lascia un mostro sacro, la cui figura è stata essenziale ad ispirare tutta una generazione di cantanti ed autori folk, in primis Bob Dylan e Joan Baez, e a formare buona parte del cantautorato americano tra cui Bruce Springsteen.

Nato nel quartiere Patterson di New York il 3 maggio 1919 in una famiglia di musicologi e musicisti con idee progressiste. Basterebbe già il suo paradigma familiare a descrivere le gesta della sua vita. Un’esistenza piena di impegno per la realizzazione di grandi ideali. Studente alla Harvard University insieme a John Kennedy e da subito coinvolto come attivista nelle lotte sindacali dell’epoca, lascia gli studi prima del diploma per dedicarsi anima e corpo alla musica dopo avere incontrato Huddie Ledbetter, in arte Leadbelly, e Woody Guthrie, dal lui conosciuto a un concerto di beneficenza per i lavoratori migranti della California. E’ Guthrie a spingerlo a scrivere canzoni, che interpreta accompagnandosi alla chitarra acustica e soprattutto al banjo. Con altri musicisti i due formano gli Almanac Singers, gruppo di successo e fortemente politicizzato che Seeger è tuttavia costretto ad abbandonare nel 1942 quando viene chiamato a prestare servizio militare nell’area del Pacifico. Dopo la guerra riprende l’attività contribuendo alla fondazione della rivista Sing Out! e, nel 1948, dei Weavers con Hays, Ronnie Gilbert e Fred Hellerman. 375734_10203133097631445_727013433_nCon brani quali “This land is your land” di Guthrie, “Goodnight, Irene” di Leadbelly e “Wimoweh” (“Te lion sleeps tonight”, rielaborazione di un canto tradizionale sudafricano) il gruppo diventa popolarissimo, ma durante la “caccia alle streghe” istigata dal senatore McCarthy la sua militanza nel partito comunista spinge Seeger davanti al Comitato delle Attività Antiamericane che lo condanna a un anno di detenzione. La sua passione politica progressista dunque ne farà uno dei tanti bersagli del maccartismo senza tuttavia frenarne l’attività di militante e musicista. Un esempio, forse, di come la musica sia troppo potente e libera da essere ingabbiata ad opera di alcune ridicole costrizioni “politiche”. In realtà sconterà solo qualche giorno di carcere e riuscirà a dedicarsi ampiamente alle sue attività. Il suo gruppo, i Weavers, diventa un elemento decisivo per il fenomeno del folk revival che prende piede nei primi anni ’60. Le sue canzoni si trasformano in autentici inni pacifisti, spesso ripresi da altri artisti. L’epica “We shall overcome” diventerà la vera colonna sonora delle marce per la pace per tutti gli anni ‘60, vantando splendide reinterpretazioni  tra cui la più celebre quella di Bob Dylan. “Where have all the flowers gone?”, portata al successo nel 1962 dal Kingston Trio e cantata soavemente anche da Joan Baez. “Turn turn turn”, ispirata ad un canto biblico, che alla fine del 1965 trascina i Byrds ai primi posti delle classifiche proponendo una versione elettrificata e più attuale del pezzo che farà conoscere il nome di Seeger presso il pubblico dei giovani. La sua presenza sulla scena politica, sociale e musicale resta molto rilevante per tutto il decennio: Seeger partecipa alle marce della pace di Martin Luther King a Selma, in Alabama e a Washington D.C., regalando, appunto,  al movimento dei diritti civili il suo inno “We shall overcome”, e poi alle manifestazioni di protesta contro la guerra in Vietnam. Rimane celebre il suo attacco al presidente Lyndon Johnson e alla sua politica militare durante il programma tv “Smothers Brothers Show” dove Seeger canta quella che è anche una delle prime canzoni contro la guerra nel Vietnam, “Waist deep in the big muddy“ (“Giù fino al collo nel grande pantano”).

1601458_10203133096431415_2001061494_nSempre attento alle evoluzioni della politica e della società e votato anche alle cause ambientaliste, negli anni ’80 e ’90 Seeger è spesso in tour con il figlio di Guthrie, Arlo. Nel 1993 riceve un Grammy alla carriera (altri tre seguiranno nel ’97, nel ’99 e nel 2011), nel 1994 è il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a consegnargli l’alta onorificenza della National Medal of Arts mentre il 1996 è l’anno dell’ ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame e dell’album di Bruce Springsteen “We shall overcome: The Seeger sessions”, ispirato alla sua figura e al suo repertorio. Il 3 maggio del 2009 al Madison Square Garden di New York ha luogo un grande concerto di celebrazione del suo novantesimo compleanno, cui partecipano Springsteen, Joan Baez, Roger McGuinn, Dave Matthews, John Mellencamp, Ani Di Franco, Emmylou Harris e molti altri musicisti. Con il passare degli anni non ha abbandonato l’impegno politico: si è schierato più volte a favore del disarmo nucleare e nel 2011 ha partecipato alle manifestazioni di Occupy Wall Street. Nel 2013 muore la moglie Toshi, al suo fianco per settant’anni. E ieri 27 gennaio si è spento anche lui, dopo una vita piena di lotte per grandi ideali. Il mondo ora è di sicuro un luogo più triste, perché orfano di tanta portata artistica ed umana. Ora è compito degli artisti più o meno giovani ancora in vita portare avanti il messaggio del folk, mostrare cioè come la musica può e deve farcela a cambiare in meglio la società umana.

Sara Fabrizi

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