Recensione di “Harborleave Inn” dei Roadhouse Crow

6508167Autore: Roadhouse Crow

Titolo Album: Harborleave Inn
Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Indie Rock

Voto: 8
Tipo: EP

Sito web: http://www.youtube.com/user/roadhousecrowyt/videos
Membri band:
Davide Romiri – voice, harp, rhythm, organ
Gordon Venice – guitar, organ, second voice
Marco Marocco – bass, organ
Marco Rever – drums

Tracklist:
1. Shangri – La
2. London Love
3. Magnetic Lands
4. Sweet Tangerine
5. Galapagos (Summer, even if)

Harborleave Inn è la prima fatica di un gruppo giovane ed emergente della provincia di Frosinone. Eppure immediatamente, ad un primissimo ascolto, si coglie un’impronta retrò-rock che fa quasi dubitare che si tratti di una band di ragazzi ventenni. Loro sono i Roadhouse Crow. Nati ufficialmente sul finire del 2010, per due anni lavorano alacremente alla loro attività compositiva in salotti di fortuna fino ad approdare alla X edizione del Music Village in Puglia. Successivamente si fanno conoscere nei vari festivals e music clubs del frusinate. E’ durante questa fase di consolidamento live che nel songwriting inizia ad emergere un gusto retrò, una vena compositiva ricca di suggestioni tipiche di quello che fu il rock nella sua stagione più fulgida, il rock dei 60s e 70s. Rispetto alle loro prime composizioni, che rispondevano a logiche più individualiste e non del tutto inquadrabili in un genere di riferimento, la nuova ondata di fascinazione retrò ribalta un pò tutto spingendo i 4 musicisti a muoversi entro la comune matrice di un rock sognante e a tratti melodico. E queste atmosfere si colgono perfettamente nei 5 brani del loro EP. Shangri – La è il brano di apertura. Si inizia in modo solare e rassicurante, c’è un bel ritmo e una bella verve nell’uso della chitarra. Il pezzo sembra quasi trascinarci in uno scenario estivo. Sto su una spiaggia e mi godo il paesaggio: è la prima cosa che ho pensato. Quindi si passa al secondo brano, London Love, a mio parere il pezzo forte e trainante dell’album. Qui il ritmo è meno incisivo del brano precedente ma dà più l’idea di un continuum a tratti blues, a tratti brit pop. Le sensazioni che evoca appartengono ad una sfera più personale e ciò si deduce sia dal testo che fa riferimento ad un sentimento per una persona lontana, ad un amore distante, sia dalla sottile malinconia suggerita anche dalla voce del cantante che sembra quasi lamentarsi dolcemente quando dice “London London Love..” Atmosfere tra l’onirico e il melanconico. Davvero d’impatto ed evocativo. Il terzo brano proposto è Magnetic Lands. Un intro di batteria potente che rivela un tributo a One of these days dei Pink Floyd. Energia è la prima sensazione evocata. Spicca subito l’organo, suonato alla 70s maniera. Si prosegue con una chitarra incalzante e con degli acuti interessanti del cantante. Altra sensazione emanata è quasi un senso di magia. E’ dal minuto 4:07 a chiusura che il brano ci trascina in un’atmosfera di incantesimo, bella la prestazione vocale tra lo struggente e l’arrabbiato. Il quarto brano è Sweet Tangerine. Da subito emana una forza che strizza un pò l’occhio al cupo e al dannato. Il sapore vintage di Harborleave Inn qui a mio parere raggiunge l’apice. L’uso dell’organo richiama The Doors, mentre batteria, basso e chitarra mi ricordano tanto Lou Reed. Quinto brano, a chiusura dell’EP, è Galapagos (Summer, even if). Un bell’ intro di chitarra, dolce. E solare. In una sorta di circolarità ci si riallaccia al primo brano. Ma stavolta la malinconia la fa più da padrone. Siamo ancora in estate, ma forse sul suo finire e ciò ci rende un pò tristi. Dal minuto 3:38 una verve più decisa della sei corde e la voce ci regalano un guizzo di forza, in un brano dal sapore dolcemente sospirante. Si chiude il disco e restiamo pervasi da un mix di dolcezza e malinconia, ma anche di positività e forza ed immagini di scenari lontani e incantati. In perfetta coerenza con il gusto “settantino” del disco le fonti di ispirazione sono le tante band e i tanti artisti storici del periodo. Dunque quattro musicisti ventenni si innamorano del passato più glorioso del rock, lo metabolizzano e lo rielaborano per trarne una loro originale personalità dimostrandoci come le “lezioni” del passato siano ancora terribilmente affascinanti. Non si copia qui, attenzione! Ma si attualizza un sound mai dimenticato. Che da questo incontro fra suggestioni musicali 70s ed energie nuove possano continuare a sgorgare pezzi di impatto e carattere è ciò che auguro ai Roadhouse Crow.

Sara Fabrizi

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