Bruce Springsteen, The Boss, al Circo Massimo

Un concerto di Bruce Springsteen è un’esperienza unica, da fare almeno una volta nella vita. Chissà quante volte avrete già sentito queste parole. Parole che si riempiranno di tangibile verità quando e se avrete la fortuna di assistervi. L’ho sperimentato sulla mia pelle due giorni fa al Circo Massimo e vi assicuro che è così. Che siate ammiratori, fan sfegatati, semplici amanti del rock, anche se non conoscete mezza delle sue canzoni (impossibile!) andate a vederlo. Vi cambia la vita, vi restituisce ordine nei pensieri, speranza nel cuore, serenità nell’anima..in un momento storico-sociale dove terrore e sconforto la fanno da padrone. The Boss è una sorta di sciamano, un santone che infonde positività in nome del dio Rock, forse l’unico che andrebbe davvero adorato…La platea del Circo Massimo sabato 16 ha partecipato a questo grande rito collettivo di purificazione, da ogni male e da ogni pensiero di male. In uno scenario incantato dove si respira aria di eternità e classicità, con un clima addirittura ideale (caldo ma non troppo), con un venticello che pareva cullarti, al tramonto, alle 20 e 15 per l’esattezza, ha inizio questo non stop di musica e amore che dura per ben 4 ore. Amore per la musica e per la vita, reso visibile anche da una semplice ma bellissima coreografia di cuori preparata dai fan delle prime file. E’ come se la città di Roma avesse creato un nido sicuro dove poter godere di tanta arte, e di tanta vita. Sì, perché in un concerto del Boss il confine fra le due è davvero molto labile. Mai nessuno come il nostro rocker americano, attivo da più di 40 anni, è riuscito a comunicare in maniera così diretta la sua Musica, mettendo il Rock a disposizione della collettività. La sua “semplicità” espositiva, la sua immediatezza, ci rendono partecipi della fruizione artistica non solo come destinatari ma addirittura come protagonisti. E l’altra sera quando è sceso fra il pubblico, lasciandosi toccare, lasciandosi sollevare, quando ha fatto salire sul palco un ragazzino aspirante batterista, e una ragazza chitarrista e una signora che voleva danzare con lui, quando prendeva i cartelloni con i suggerimenti delle canzoni da eseguire, lì davvero ho capito che Bruce è noi e noi siamo Bruce. Noi affamati di musica, di rock, di vita, di emozioni. E lui non si è risparmiato nel donarcele a piene mani. Con una scaletta prevista, ma non del tutto. Pescando naturalmente nell’album del 1980, The River (che dà il nome al suo tour), ma muovendosi anche prima e dopo. Con qualche chicca che non tutti si aspettavano. Ha celebrato l’America e i suoi miti: la frontiera, il fiume, il viaggio, i lavoratori, i poveri che corrono e corrono nella speranza di farcela. E anche l’amore che dà conforto, che ci aiuta nel percorso. Che poi sono tematiche americane ed universali, in esse la vita semplicemente. Sono argomenti e diritti di tutti noi, in barba a chi col suo oscurantismo fanatico e criminale ci vorrebbe privare di tanta laica e naturale bellezza. Tutto ciò racchiuso in una performance lunghissima ma leggera, godibile, appassionante, mai assolutamente stancante. 34 pezzi eseguiti con gioia, vigore, grinta e anche commozione. Apertura fatta con New York City Serenade (inaspettata), passando per Badlands, per qualche cover dei grandi del passato (John Lee Hooker, Eddie Cochran) rivelandoci la sua indiscussa anima roots e blues, per il Detroit Medley dove mette dentro anche i Creedence, per cavalli di battaglia come The Ties That Bind, Sherry Darling, Indipendence Day, Hungry Heart, arrivando alle ballads eseguite da solo in acustico. Un viaggio musicale intenso, variegato, costellato di momenti alti. Un momento particolarmente alto per me è stata la sua esecuzione di The Ghost Of Tom Joad. Le luci si spengono, poi si riaccendono per mostrarci lui solo, munito di chitarra acustica ed armonica. Provo un guizzo al cuore perché capto cosa sta per accadere. Parte il suono struggente di armonica ed ecco che tutta la tradizione folk americana con Pete Seeger e Woody Guthrie ci si materializza davanti gli occhi, nelle vesti di un rocker che la interpreta, attualizza e rinverdisce in una toccante ballad : “No home, no job, no peace, no rest”. Il canto della povera gente che il Boss esegue con maestria e profonda partecipazione. E subito a seguire The River, altra meravigliosa ballad. Tutti siamo partecipi, tutti in perfetto silenzio, solo le note suonate dal Boss riecheggiano nel Circo Massimo. Brividi che le parole non descrivono. E poi ancora i classici come Born In The USA, Born To Run, Dancing In The Dark. Evergreen, mai, proprio mai, scontati. Eseguiti con grinta e con la compiacenza assoluta del pubblico che è come se assistesse al rinnovo naturale di un patto stipulato con il rocker tanti anni fa. E poi ancora l’amore con una struggente Drive All Night. E la chiusura affidata ad una Thunder Road in acustico che suggella l’incantesimo con dolcezza e decisione. E il suo pensiero doveroso e naturale, nel corso del concerto, per le vittime dell’ultimo attentato terroristico avvenuto a Nizza. La Musica è un balsamo da mettere sulle ferite della vita, individuali e collettive. Sia che lo faccia commuovendoci e facendoci riflettere, sia The Boss River Tourelettrizzandoci, sia facendoci gioire di una felicità leggera e spensierata. Ma ad ogni modo liberandoci. E questo lo sa bene il nostro 66enne vitalissimo working class rocker. Che pare come planato sulla distesa del Circo Massimo in un’incantevole sera d’estate per rimettere ogni cosa al suo posto.

Sara Fabrizi

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