Black Foxxes: I’m Not Well

Autore: Black Foxxes

Titolo Album: I’m Not Well
Anno: 2016

Casa Discografica: Search & Destroy / Spinefarm / Universal Music Group
Genere musicale: rock/ depression pop

Voto: 8
Tipo: CD

Sito web: http://www.blackfoxxes.bigcartel.com/

Membri band:
Mark Holley – voce e chitarra
Tristan Jane – basso
Ant Thornton – batteria

Tracklist:
1. I’m Not Well
2. Husk
3. Whatever Lets You Cope
4. How We Rest
5. River
6. Maple Summer
7. Bronte
8. Waking Up
9. Home
10. Slow James Forever
11. Pines

Torna il rock britannico, di un certo spessore. Non più il solito brit pop che strizza l’occhio all’ormai abusato onnipresente indie. Ma del vero rock, puro e duro. I Black Foxxes sono una rarità nello scenario inglese, ormai abitato da anni da gruppi tutti uguali che si fanno il verso a vicenda. I Black Foxxes sono un power trio proveniente dal Devon, dalla città di Exter per la precisione. Mark Holley, Tristan Jane e Ant Thornton hanno esordito nel 2014 con l’EP Pines che è stato un successo e da lì hanno lavorato alacremente fino a finire sotto l’egida della label Spinfarm Records, che fa capo alla Universal. I’m Not Well è il loro album d’esordio e ha di certo contribuito a rendere il 2016 un anno più decisamente rock. 11 tracce per la totale durata di 43 minuti che ti catturano e inquietano dall’inizio alla fine. Le liriche sono intrise di dipendenze, rinascite, disagi e frustrazioni. C’è rabbia ed energia, rese benissimo dalle atmosfere rock caratterizzate da una forte intensità emotiva derivante sia dal cantato del vocalist, brillantemente urlato, sia da un’esecuzione minuziosa e che non disdegna gli effetti. L’album si apre con la title track, I’m Not Well, in cui l’interpretazione vocale di Mark è davvero notevole e sembra quasi voler squarciare un cielo grigio e minaccioso con la sua forza limpida. Ne segue la breve Husk e poi la emotivamente carica Whatever Lets You Cope. Il pattern dei brani rimane abbastanza costante durante tutto il disco, con una costruzione musicale che fa molto affidamento sull’espressività vocale di Holley, ancora ben rappresentata nella quarta traccia, How We Rust, che presenta, nella parte finale, qualche concessione alla psichedelia. Ne segue River, una sorta di semi-lento dove i toni si abbassano un pò, ed è un bene a mio parere perché introduce un momento di riposo e riflessione che stempera la forte adrenalinicità del disco. Le parti più lente si alternano a qualche concessione vocale piuttosto gridata. Un bell’esempio di varietà stilistica all’interno di un pezzo. Interessante è la sesta traccia, Maple Summer, con un esordio più southern rock e aggressivo, che dona varietà ad un album altrimenti un po’ troppo uniforme. In questo pezzo i decibel si alzano e la voce di Mark svetta. Segue Bronte, brano più introspettivo. L’ottava e la nona traccia, rispettivamente Waking Up e Home, si caratterizzano per un massiccio dispiego di chitarre elettriche e riverberi. La decima traccia è Slow Jams Forever, un pezzo in cui ritroviamo tutto il sound caratterizzante della band. E’ qui che dispiegano tutte le loro particolarità, facendone un po’ il proprio marchio distintivo. Pines è il brano di chiusura. Qui si raccontano le incertezze della vita e si tirano le fila del disco facendo leva su un’esecuzione molto intensa ed emotiva. Un altro brano semi-lento che poi cresce dando naturalmente spazio e risalto alla timbrica emozionale del cantante.
Un album rock, di rabbia, ribellione e riflessione che arriva all’anima.

Sara Fabrizi

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