Il Cerchio Medianico (Un’opera prop di Stefano Agnini) (2017)

Se vi chiedete cosa voglia dire prop (io me lo sono chiesto), ve lo dico subito: prog-pop.  E già qui è interessante notare come si possa concepire un’opera prog pop. SPOILER: non si può.
L’album infatti ha a che fare con il prog solo per quanto riguarda “l’outfit” (l’estetica scelta, la composizione dell’album etc) e non nel modo di suonare o nella musicalità.

Ad ogni modo il compositore genovese, già militante ne La Coscienza di Zeno, si è cimentato in questo lavoro da solista, non del tutto riuscito.
L’album lascia alla fine dell’ascolto un non-so-che di vago, non precisamente determinato e si fa fatica ad aggrapparsi ad un senso qualsiasi se ci si spinge oltre un orecchio prettamente superficiale. Cosa che la tipologia di album suggerirebbe.
Il raccontare dell’autore, eccetto qualche eccezione come Canzone della bambina senza testa e Arrivo dello spirito guida, è banale e distante dalle fantasmagorie e dal surrealismo del cantato e dal parlato delle band prog rock italiane degli anni ’70 che sembra imitare.

I suoni poi sono poco più che pallide ombre di quelli prog, decisamente inautentici e artificiali; una volta filtrati mentalmente dalle belle esperienze di ascolto ai quali sono legati non rimane che un risibile accompagnamento.
Quando infatti si tenta la “ballad” Canzone delle poche cose si rimane con un fastidioso pugno di mosche, e alla fine di Morte e Distruzione c’è un malprodotto Celentano.

Qualsiasi sia il gioco che sta giocando Agnini, non ha fatto punto.

Pubblicato da

Manuel D'Orso

Nel collettivo dal 2013, INTJ, appassionato di metal e musica sperimentale.

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