MGM – Sunny Days Gone By

Autore: MGM

Titolo Album: Sunny Days Gone By
Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: hard rock

Voto: 8
Tipo: CD

Sito web: www.facebook.com/mgm.rock/?fref=ts

Membri band:
Sebastiano Scittarelli: basso e voce
Peter Cornacchia: chitarra e voce
Fabrizio Musto: batteria e percussioni
Marco Capitanio: organo, piano, synth

Tracklist:
1. Magic Highway
2. Sometimes
3. Sunny Days Gone By
4. You Think It’s True
5. If You Don’t Fight
6. Plastic Soldier
7. Inside Lookin’ Out
8. Smokey Room

Prendi quattro grintosi musicisti del cassinate, la loro passione per il rock duro e puro di derivazione seventies, la loro volontà di far rivivere il sound sincero di quegli anni in inediti attuali e timeless al contempo e vedrai suonare davanti a te gli MGM. Attivi dal 2000, hanno conosciuto nel tempo solo una variazione nella line up quando nel 2008 Peter Cornacchia è subentrato ad Aurelio Gargiulo. Si sono fatti le ossa in sala prove ma soprattutto nei live, vera irrinunciabile location non solo della loro performance ma anche della loro crescita artistica, del loro stesso farsi arte. L’improvvisazione come etica musicale, il piacere di suonare e comunicare se stessi al pubblico, anche ristretto, anche magari poco avvezzo al genere proposto. Non la pretesa di scalare classifiche e ottenere consensi su vasta scala. Ma la volontà di regalare al proprio auditorio un’istantanea di se stessi e della passione che li anima. C’è una assoluta congruenza fra ciò che emerge da una mia breve intervista al chitarrista della band e ciò che è immediatamente palese all’ascolto. E’ come se i brani ti parlassero del processo creativo insito, dell’influenza di Hendrix, Led Zeppelin, Deep Purple, Pink Floyd, CSN, Black Sabbath, Santana, Jeff Beck e altri ancora. Influenze che però non si traducono mai in una copia, in un’esecuzione clone dell’originale. Anzi, c’è molta libera interpretazione, molto spazio alla sensibilità personale di ognuno dei quattro musicisti che, pur provenendo da un background simile, hanno poi naturalmente ognuno una propria personalità musicale fatta di ispirazione dai propri mostri sacri e abilità creativo-compositive autonome. Dunque ampio spazio a variazioni sui temi dei grandi dell’hard rock, variazioni e degenerazioni da cui poi scaturiscono veri e propri brani. E negli otto brani del loro primo full lenght tutto ciò è fortemente riscontrabile, anche ad un orecchio poco allenato a mio parere, tanto sincero è il loro sound e il modo di comunicarlo. Energia, potenza, impatto sono i tre aggettivi che mi vengono immediatamente in mente per descrivere i pezzi. Un potenza primitiva e sanguigna che si dipana per tutto l’album persino quando incontriamo una ballad. Sin dal primo brano, Magic Highway, veniamo trascinati in un vortice di sano rock’n’roll, veloce e di impatto che evidenzia, ad un certo punto del brano, delle armonie non convenzionali e non prevedibili frutto di una creatività spontanea. Il secondo brano, Sometimes, è costruito attorno ad un riff molto efficace. Tipico esempio di come una cellula minuscola possa poi ispirare il resto del brano strutturandolo di fatto. Il terzo brano è la ballad che è anche la title track, Sunny Days Gone By. Una malinconia limpida emerge all’ascolto, il gusto dolce ed amaro di qualcosa di bello ormai trascorso che lascia trasognati. Giorni pieni di sole ormai passati, appunto. Chissà perché la scelta di dare all’album il titolo di questo pezzo. Forse perché tutta quella energia primitiva che permea il disco aveva bisogno di essere incanalata nei meandri di un pezzo più rassicurante, più calmo, più riflessivo. Nelle note di una ballad dolce ma che è in grado di esprimere il tormento, l’impeto, l’emozione forte, sia essa positiva o negativa, che sono all’origine di ogni componimento musicale quasi meglio di pezzi più rock. E la chitarra, che ad un certo punto si infiamma in un assolo delicato ma deciso deviando dalla melodia principale, interpreta egregiamente questo mood. Con il quarto brano, You Think It’s True, veniamo riportati nel regno della potenza e del ritmo. Ancora un riff indovinatissimo da cui sgorga con nonchalance il resto del brano. Sembra quasi di vederlo il processo creativo degli MGM, tanto i brani ci comunicano spontaneità, improvvisazione, musica nel suo farsi. Ed è per questo motivo che sembra quasi di ascoltare un live album. I quattro musicisti sono riusciti a rendere in uno studio album il calore e l’energia libera e “schizofrenica” di una performance live. Abilità riscontrabile ai massimi livelli nel quinto brano, If You Don’t Fight. Batteria e basso a tutta. Sezione ritmica lanciatissima. Assoli di chitarra e organo infiammati. Il sesto brano, Plastic Soldier, trasuda forza e qualche concessione al funk. Il modo di cantare del cantante/bassista qui mi piace particolarmente. Ci sento dentro echi di Hendrix (Foxy Lady?) davvero trascinanti. Energia a profusione anche per il settimo brano, Inside Lookin’ Out. Anche qui grande voce. E’ come se il cantato del bassista abbia avuto per me un’evoluzione in termini di bravura lungo l’album. Nei pezzi finali davvero riesce a dare il meglio. Quasi come se venisse rispettato quel crescendo, quel pathos che sale, tipico di un live. Quando si parte decisi ma controllati e poi ci si scalda e si esplode nel corso della performance. Ed è un discorso che io applicherei anche agli altri strumenti in questo album. La forza e l’impeto da subito palesi si arricchiscono di calore e “umanità” di brano in brano. A chiudere il disco è Smokey Room. Brano interamente strumentale che sfocia nella jam. Molto spazio al synth. Toni più rilassati rispetto ai pezzi precedenti. Certo l’energia anche qui è tangibile ma è più tenue e latente, meno esplosiva. Nella mia ottica quasi una sorta di brano di “defaticamento”. Come per guidare l’auditorio verso la fine di un viaggio musicale che è stato adrenalinico e che ora lascia posto al silenzio. Dopo il dispiegamento di tante forze, ritmi e Sunny Days Gone Bybattiti accelerati da live il nostro cuore rock’n’roll ritrova la calma. Dopo l’ascolto dell’album la sensazione è di essere appena tornati da un concerto, con quel miscuglio di lasciti di energia e desiderio di assistere subito ad un altro.

Sara Fabrizi

Giorni Usati di Michele Anelli

Autore: Michele Anelli

Titolo Album: Giorni Usati
Anno: 2016

Casa Discografica: Adesiva Discografica
Genere musicale: rock cantautorale

Voto:7
Tipo: CD

Sito web: http://www.micheleanelli.org/

Membri band:
Michele Anelli – voce, chitarra elettrica, chitarra acustica
Andrea Lentullo – piano elettrico, synth, organo, vocoder
Matteo Priori – contrabbasso
Stefano Bertolotti – batteria
Francesco Giorgio – corno, tromba
Gianluca Visalli – viola, violino
Caterina Cantoni – violoncello
Federica Diana – cori
Francesco Marchetti – cori

Tracklist:
1. Lavoro Senza Emozioni
2. Leader
3. Adele E Le Rose
4. Alice
5. Giulia
6. Gospel
7. Eco
8. Tu Sei Me
9. Cento Strade
10. Giorni Usati

Giorni Usati rappresenta la svolta cantautorale nella carriera di Michele Anelli. Per lungo tempo frontman, autore e cantante dei Groovers, qui si reinventa come cantastorie, menestrello dell’attualità. Dopo un passato da garage-punker con la sua band degli anni ’80, The Stolen Cars, e dopo una carriera ventennale con The Groovers, si reinventa solista. Dunque incontra il tastierista Andrea Lentullo, che fornisce terreno fertile alle sue idee, e il contrabbassista Matteo Priori che apporta un intenso groove determinando la fisicità ritmica anche grazie al lavoro di tre differenti batteristi che si alternano nei brani. Ne scaturisce Giorni Usati. Continua a leggere Giorni Usati di Michele Anelli

COSMO’S FACTORY – CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL

Autore: Creedence Clearwater Revival

Titolo Album: Cosmo’s Factory
Anno: 1970

Casa Discografica: Fantasy Records
Genere musicale: rock

Voto: 10
Tipo: LP

Sito web: http://www.creedence-online.net/
Membri band:
John Fogerty – chitarra, piano, sassofono, voce
Tom Fogerty – chitarra ritmica
Doug Clifford – batteria
Stu Cook – basso

Tracklist:
1. Ramble Tamble
2. Before You Accuse Me
3. Travelin’ Band
4. Ooby Dooby
5. Lookin’ Out My Back Door
6. Run Through The Jungle
7. Up Around The Bend
8. My Baby Left Me
9. Who’ll Stop The Rain
10. I Heard It Through The Grapevine
11. Long As I Can See The Light

Cosmo’s Factory è il quinto album targato CCR, e ne rappresenta la summa. Tra tutti gli album è il più vario ed enciclopedico per la sua attitudine a svelare tutte le svariate influenze della band. Vera e propria sintesi della loro arte, del loro modo di essere rock e di forgiarlo pescando a piene mani nel passato per creare qualcosa di inedito. Un album che arriva nel 1970, ossia un anno dopo il memorabilis 1969 che vide la fortunatissima trilogia Bayou Country, Green River e Willie And The Poor Boys. Continua a leggere COSMO’S FACTORY – CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL

Limbo di Alessandro Di Traglia

Autore: Alessandro Di Traglia
Titolo Album: Limbo
Anno: 2016
Casa Discografica: autoproduzione
Genere musicale: rock
Tipo: CD
Sito web: http://tinyurl.com/adtyoutube
Membri band:
Alessandro Di Traglia – voce
Peter Cornacchia – chitarre elettriche e acustiche, mandolino, basso, cori, voce ne L’Amore Vincerà Di Nuovo
Ivo Di Traglia – batteria
Marco Lucci – piano, tastiere, hammond, rhodes
Marco Capitanio – hammond su Niente Da perdere
Paolo Cornacchia, Fabrizio Migliorelli, Cinzia Turchetta – cori

Tracklist:
1. Guardati Intorno
2. Limbo
3. Oggi No
4. Tu Lascia Piovere
5. Fragile
6. Niente Da Perdere
7. Prigradica
8. L’Amore Vincerà di Nuovo
9. Tu Sei Qui

Limbo è il primo album del cantautore pontecorvese Alessandro Di Traglia. Un disco rock, sano rock italiano. Melodico a tratti. Più potente, azzarderei quasi hard rock, in alcuni pezzi. Influenze musicali e sensibilità personali si sono amalgamate a creare 9 brani interessanti, mai scontati sia nei testi che nelle soluzioni musicali adottate. Se all’ascolto è chiaro l’eco di rock band 90s quali Afterhours, Timoria, Negrita, è anche deducibile un altro set di influenze che pur rimanendo più sullo sfondo ha comunque avuto un suo peso nel processo creativo dell’artista. Come mi rivela il cantautore stesso la sua primissima educazione musicale ha avuto un piglio decisamente metal: Black Sabbath, Iron Maiden, Stratovarius. E poi il grunge dei Nirvana, quasi inevitabile per ogni aspirante rocker che muove i suoi primi passi negli anni ’90. Una formazione musicale che lo ha nutrito ma che poi lo ha portato a scelte stilistiche e creative abbastanza distanti dall’heavy rock ascoltato nell’adolescenza. Limbo infatti è più inquadrabile nel rock melodico che in quello duro e pesante. Soprattutto per le tematiche introspettive ed intimiste affrontate nei pezzi, meglio veicolate da un rock classico e misurato che da ritmi martellanti e duri. Anche se, come accennavo prima, ci sono dei guizzi più hard in alcuni pezzi che non dispiacciono affatto ma conferiscono verve e un po’ di varietà stilistica andando a scongiurare il pericolo di un album altrimenti troppo monocorde. Di sicuro è stato fondamentale ai fini di questo risultato l’apporto dei musicisti che supportano il cantautore, molti dei quali hanno anche avuto un peso determinante nella fase compositiva e di realizzazione dell’album. In particolare il chitarrista Peter Cornacchia, che è anche produttore dell’album e autore del brano Prigradica, e il batterista Ivo Di Traglia.
Brano di apertura dell’album è Guardati Intorno. Pezzo veloce, ritmato, anche un po’ arrabbiato. Un brano che è un invito ad aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda. Una realtà dura, spesso ostile, nella quale è difficile trovare una propria collocazione. Un’esortazione a trovare la propria identità, la propria strada, senza però farsi illusioni sulle persone e sul mondo che è fuori. Il secondo brano è Limbo, da cui il titolo dell’album. Una ballad un po’ amara. Un intro di chitarra dolce che dissolve nei cori e poi una chitarra più energica. Si va avanti così per l’intero pezzo. In un’alternanza fra il malinconico e l’arrabbiato. Echi di Afterhours hanno di sicuro ispirato l’artista. La melodia veicola un testo che parla di una crisi di identità, del limbo in cui ci si ritrova a vivere perché non si riconosce più se stessi. Una rock ballad molto sincera e fortemente sentita. Non deve essere un caso che la canzone abbia dato il titolo all’intero album. Il terzo pezzo, decisamente più rock, è Oggi No. Si parla di incertezze, di mancanza di punti saldi, della difficoltà e quasi del rifiuto ad accettare e a vivere la vita per quello che è. Una punta di nichilismo che però non sfocia nella rassegnazione. L’energica veste rock, hard rock, del pezzo conferisce al brano un qualcosa di propositivo a mio parere. Quindi si passa al quarto brano, Tu Lascia Piovere. Io lo vedo come quasi una sorta di evoluzione rispetto al brano precedente. Il nichilismo diventa presa di coscienza delle proprie capacità di reagire, della propria energia vitale. Una prorompente positività e forza nell’affrontare la vita, nel trovare le risposte. E tutto ciò non poteva che essere reso da un rock incalzante. Il quinto brano è Fragile. Ancora una ballad, un altro brano fortemente intimista. Sonorità delicate e malinconiche. Un lungo intro di chitarra acustica e mandolino. Un testo che è una candida ammissione di fragilità. Un appello, probabilmente rivolto alla persona amata, a non andarsene via. Il sesto brano è Niente Da Perdere. Una brano decisamente rockettaro e veloce. Aprono in modo piuttosto heavy batteria e chitarra elettrica. Un testo pieno di energia e di determinazione. Un appello ad andare per la propria strada, a credere solo in se stessi, ad andare fino in fondo perché non si ha niente da perdere. Il settimo brano è Prigradica. Brano interamente strumentale. Essenzialmente dolce. Cori che si alternano a chitarre delicate. Molto evocativo e rilassante. Funziona molto bene come introduzione al pezzo seguente a cui si lega in una sorta di continuum. Prigradica dissolve in L’Amore Vincerà Di Nuovo. Qui siamo di fronte a una cover, trattandosi di un pezzo della prog band Osanna. Bella la scelta di mettere una cover, interessante l’aver scelto proprio questo pezzo. Sia per la tematica del testo che parla di rinascita, di rivincita dell’amore sulla morte, e lo fa con i toni epici tipici di molte ballad prog. Sia per le musiche, dove melodie dolci sfumano in ritmi più rock e decisi. Quindi in perfetta coerenza con quello che secondo me è un po’ il filo rosso dell’intero album: l’alternanza fra delicato ed energico, fra tenue e rock, tra malinconico e fortemente propositivo. La cover conferisce respiro all’album, una sorta di divagazione che però non si pone in contrasto con il resto ma anzi ne rafforza il senso e l’unitarietà. A chiudere l’album è Tu Sei Qui. Di nuovo un brano intimista e malinconico. Testo evocativo che allude al desiderio di fuggire dalla vita che si ha, di liberarsi dal peso di una gabbia, di ritrovare la propria essenza più profonda. Un pezzo che invita alla riflessione e all’introspezione. Un finale intimamente rock. Come l’intero album.

Sara Fabrizi

Jack Thunder Band – What The Thunder Said

Jack-Thunder-Band-What-The-Thunder-Said-2-150x150Metti quattro ragazzi che nella provincia al confine fra Lombardia e Piemonte, nel 2015, decidono di trasportarci in centro America. E lo fanno scrivendo, suonando ed autoproducendo un album dal titolo eloquente, What The Thunder Said. Più che un viaggio, una vera e propria telecinesi che annulla in un attimo le distanze spaziali ma anche quelle temporali. Non solo veniamo catapultati fra montagne rocciose e mitici rivers, ci ritroviamo anche in una dimensione quasi a-temporale. Echi decisi di anni ’70 o di decenni ed epoche ancora precedenti, comunque di tempi in cui l’aspetto geografico e morfologico degli States è divenuto prepotente metafora della condizione e della psicologia umana. E la musica d’oltreoceano, dalla tradizione popolare americana fino al cantautorato recente, ha sempre indagato e cantato i legami fra natura ed uomo. Insolito e soprendente che sia una band italiana di recente formazione a cimentarsi in un questo ambito. Forse a testimonianza che alcuni miti e universi di significati trascendono davvero le barriere spazio-temporali. E forse proprio il legame con il territorio, l’osservare la natura selvaggia delle valli del Piemonte orientale e del fiume Ticino avrà condotto i quattro musicisti sulle sponde del Colorado River. E li avrà invogliati a scrivere e cantare storie che ruotano attorno al tema del river e della sua simbologia. Quasi come fossimo dentro un fumetto di Tex Willer. E proprio da uno dei personaggi apparsi in Tex la band mutua il suo nome: Jack Thunder Band. Continua a leggere Jack Thunder Band – What The Thunder Said

Recensione quarto album dei Creedence Clearwater Revival

51d5hSGlAsLAutore: Creedence Clearwater Revival

Titolo Album: Willy And The Poor Boys

Anno: 1969

Casa Discografica: Fantasy Records

Genere musicale: Rock

Voto: 10

Tipo: LP

Sito web: http://www.creedence-online.net/

Membri band:
John Fogerty – voce, chitarra, sax tenore, armonica a bocca, tastiere
Tom Fogerty – chitarra, voce
Stu Cook – basso
Douglas “Cosmo” Clifford– batteria, voce

Tracklist:
1. Down On The Corner
2. It Came Out Of The Sky
3. Cotton Fields
4. Poorboy Shuffle
5. Feelin’ Blue
6. Fortunate Son
7. Don’t Look Now
8. The Midnight Special
9. Side O’ The Road
10. Effigy

Il quarto album dei CCR è Willy And The Poor Boys. Uscito nel 1969, il terzo dei Creedence in quell’anno. Una band dunque che si permette di fare ben 3 album in 12 mesi. Questo può significare solo una cosa, anzi due: fervore creativo e scandaglio profondo del rock nelle sue matrici tradizionali di folk, blues e country facendole rivivere in un rock moderno, minimale e diretto. Alla Creedence maniera, come abbiamo ormai imparato a conoscerla. Continua a leggere Recensione quarto album dei Creedence Clearwater Revival

Recensione di Ancora Rock’n’Roll di Abusivi

Autore: Abusivi

Titolo Album: Ancora Rock’n’Roll
Anno: 2015

Casa Discografica: La Grande V Records
Genere musicale: Punk-Rock

Voto: 7
Tipo: CD

Membri band:
Donato Zecchinato – voce
Davide Zordan – chitarra e cori
Alberto Baldo – basso
Francesco Baldo – batteria

Tracklist:
1. Ancora Rock’n’Roll
2. In Costume
3. Tr3
4. Neo Melodico
5. Avere La Barba
6. Laika
7. Piove Alcool
8. Pop-Corn
9. T.E.T.T.E.
10. Facebook
11. Tassativo

Un bel Rock (nello specifico Punk-Rock) italiano, ironico, scanzonato e attuale. Questa la mia impressione immediata di un album che mi ha positivamente incuriosita facendomelo ascoltare più e più volte. Loro sono gli Abusivi, rock band di Padova di recente formazione (2012). Il lavoro in questione è Ancora Rock’n’Roll, uscito nel settembre di quest’anno. In coerenza con i lavori precedenti il loro ultimo album è pervaso da una spiccata ironia, ed autoironia, nell’affrontare i temi del quotidiano con cui un giovane di oggi deve confrontarsi. Continua a leggere Recensione di Ancora Rock’n’Roll di Abusivi

Rimanere Lucidi: il primo EP dei Florio’s

Autore: Florio’s

Titolo Album: Rimanere Lucidi

Anno: 2015

Casa Discografica: Autoproduzione

Genere musicale: Rock

Voto: 8

Tipo: EP

Sito web: http://www.floriosband.it/

Membri band:
Valeria Maria Pucci – voce
Marco Nardone – chitarra
Davide Pascarella – basso
Riccardo Bianchi – batteria e percussioni

Tracklist:
1. Ho Sbagliato Tutto
2. Non Solo Tu
3. Dove
4. Vacanze Romane
5. Telo Blu

Rimanere Lucidi è il primo EP dei Florio’s, rock band del basso Lazio (Cassino) che, partendo da un’attività di cover e reinterpetazione in chiave rock di noti brani italiani anni ’60 e ’70, è approdata a sfornare propri inediti. Un disco tutto loro. Composto, arrangiato, suonato e registrato da 3 giovani musicisti ed una giovanissima cantante. Un bel punto di arrivo che ha a monte un alacre lavoro di rivisitazione e personalizzazione di classici italiani (iniziato nel 2011) e di partecipazione a contest musicali con annesse vittorie. Nel novembre 2014 vincono l’8° rassegna musicale ADSU al Teatro Ridotto de L’Aquila, mentre a maggio 2015 arriva la vittoria nella 1° edizione dell’Industrie Sonore Contest. E’ soprattutto nei live, con cui letteralmente invadono tutto il basso Lazio, che i Florio’s si formano le ossa. E dei live fanno proprio quel desiderio di immediatezza musicale priva di sovraincisioni. Caratteristica che cercano di rendere anche nella registrazione in studio, atta appunto a riprodurre la spontaneità artistica della performance dal vivo. E tale freschezza musicale emerge con forza all’ascolto dei 5 brani che costituiscono l’EP. Quattro inediti e una cover che sprigionano tanta energia rock e tematiche di tormento e disincanto. Un rock acido, a tratti impudente ed arrabbiato, che scuote l’ascoltatore catturato dai ritmi incalzanti e dalla voce pulita e suadente della cantante. La prima traccia dell’EP è Ho Sbagliato Tutto. Titolo che la dice lunga sul senso di dubbio e tormento che pervade un po’ tutto l’album. In un contesto di incertezza e sbagli, sempre in agguato nelle relazioni con gli altri, l’invito è quello di “rimanere lucidi”. Un brano dunque che si pone un po’ come manifesto programmatico dell’intero EP. Un pezzo veloce, un ritmo vivace, a tratti cupo, che si sposa perfettamente con il testo. Il secondo pezzo è Non Solo Tu. Energia e ritmo incalzante dalle prime battute. Un rock delicatamente duro che veicola ancora tormenti, frustrazioni, consapevolezze amare e personali rese. Rese appunto, ma mai capitolazioni. L’amarezza dei propri sbagli è sempre controbilanciata da un desiderio di energico riscatto. La terza traccia è Dove. Un incipit dal gusto punk rock. Veloce, martellante, lascia quasi subito spazio alla voce che, acuta e suadente, quasi urlando ci parla di amore. Di un amore perduto e perso di vista. Una fiamma che non brucia più e che si invoca, per un ritorno forse. Il tormento amoroso in questo brano trova nella parte strumentale un catalizzatore e una valvola di sfogo al contempo. Quindi giungiamo alla quarta traccia che è una cover. Vacanze Romane. Un rifacimento molto rock e molto raffinato del celebre brano dei Matia Bazar. Qui la voce dispiega tutte le sue potenzialità. Un incipit che cattura e trascina verso l’acuto della bravissima cantante che non ci fa rimpiangere per niente Antonella Ruggiero. Ne segue un andamento a tratti dolcemente sognante, a tratti decisamente rock. Bella questa scelta di inserire questa cover, quasi a voler smorzare un po’ i toni tormentati degli inediti. Quasi a voler portare una ventata di freschezza e relax in un contesto più acido. Una trovata schizofrenica, ma molto efficace. Arriviamo dunque al pezzo conclusivo, Telo Blu. Il brano inizia con la voce in primo piano rispetto alla parte strumentale. Riflessioni su una relazione d’amore. Qui si coglie però un senso di maggiore rilassatezza, una maggiore presa di coscienza che porta ad un accettazione più serena delle cose. Anche se il tema del dolore, della solitudine, del vuoto lasciato da un amore finito è sempre presente. Ciò che cambia, l’evoluzione rispetto al tormento dei brani iniziali, è il sentimento di riscatto e rinascita. La voglia di superare tutto questo, di innamorarsi ancora, di farcela senza di lui. Verso la fine del brano, supportata da un sound più cupo, la propositività si alterna al ricordo naturalmente amaro di un amore finito male. “vorrei vederti piangere, vorrei vederti ridere..di noi” Che dire? E’ un album che invade lo spazio acustico ed emozionale dell’ascoltatore, trasportandolo in un contesto a tratti amaro e disincantato, a tratti energicamente propositivo. Sempre profondo, mai patetico. E mi pare di capire che questo per i Florio’s sia solo l’inizio.

Sara Fabrizi

RECENSIONE TERZO ALBUM DEI CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL

Autore: Creedence Clearwater Revival

Titolo Album: Green River

Anno: 1969

Casa Discografica: Fantasy Records

Genere musicale: Rock

Voto: 9

Tipo: LP

Sito web: http://www.creedence-online.net/

Membri band:
John Fogerty – voce, chitarra, sax tenore, armonica a bocca, tastiere
Tom Fogerty – chitarra, voce
Stu Cook – basso
Douglas “Cosmo” Clifford– batteria, voce

green riverTracklist:
1. Green River
2. Commotion
3. Tombstone Shadow
4. Wrote A Song For Everyone
5. Bad Moon Rising
6. Lodi
7. Cross-Tie Walker
8. Sinister Purpose
9. The Night Time Is The Right Time

La terza fatica dei mitici CCR è l’album della consacrazione? Si può parlare di un album della consacrazione per una band che dal primo disco non ha avuto una pecca? Che ha scalato i vertici delle classifiche portando il blues nella sua dimensione più rock ed accessibile? Forse no, ma di sicuro ogni album in più rappresenta un’ulteriore conferma di un vero e proprio fenomeno. Il prolifico John Fogerty, autore di quasi tutti i brani, non sbaglia un colpo, rafforzando la sua innegabile leadership. Continua il percorso che rappresentò un pò la “mission” dei CCR, ossia l’affrancamento dal continuum blues per approdare ad un rock minimale ma di impatto. Anche se, come già visto in precedenza, le blues roots non verranno perse mai. Si trasformeranno semmai, rimanendo sullo sfondo. Come a dire che tutto nasce dal blues, e al blues ritorna. Green River, questo il titolo dell’album. Pare che il nome si ispirasse ad una bevanda piuttosto in voga fra i giovani di El Cerrito. Il pezzo di apertura è quello che dà il nome all’album, Green River appunto. Vero e proprio capolavoro, come già nei 2 album precedenti l’apertura è sempre col botto. Radici blues ben salde qui. E un “chitarrismo” surreale, evocante psichedelia, che si trova naturalmente molto a suo agio nell’anno 1969. Una canzone azzeccatissima per il periodo. Trascinante e leggermente estraniante. Il secondo brano è Commotion. Dalla prima battuta risulta subito evidente la natura hard blues del pezzo. Potrebbe appartenere all’Hendrix più psichedelico e schizofrenico, per come è suonato. Il finale è forte, con un potente rullo di batteria che chiude il brano in maniera secca. Il terzo pezzo è Tombstone Shadow. Tipico brano da garage-band. La sua forma sincopata rivela la somiglianza con i Cream di Clapton. Un ibrido che mi azzarderei a definire garage blues. Incalzante. Il quarto brano è una ballad. Wrote A Song For Everyone. Probabilmente una delle serenate folk più belle che siano mai state composte. Un brano che trasuda pathos, passione. La vena romantica di Fogerty qui fluisce libera. C’è un andamento dolce, scandito da una batteria che ci accompagna delicatamente in un mondo ideale fatto di empatia, amore, pace. Ballad che più “ballad” non si può. Pensiamo a quanto Springsteen sia debitore a canzoni del genere. Il quinto brano è uno dei più stranoti della ditta Creedence. Bad Moon Rising. Semplicemente folk. Woody Guthrie è qui, ma con meno retorica e più realismo. Pezzi come questo rivelano l’impegno socio-politico dei CCR (quasi imprescindibile all’epoca). Impegno velato, ma sempre presente, anche se non raggiungerà mai i forti toni di denuncia della migliore tradizione folk americana di Guthrie and co. E sempre nell’alveo dell’impegno restiamo con il sesto brano, Lodi. Un classico rock’n’roll di matrice operaia che di sicuro ha fornito ottimi spunti sia a Springsteen che ad altri folksingers a seguire. Il settimo brano è Cross-Tie Walker. Qui assistiamo al tentativo di coniugare generi diversi ma affini come il country e il folk su una base rock’n’roll semplice ed elementare. Un pezzo dal sapore più “antico”, che affonda in quel rock pregresso spesso definito come “rock delle praterie”, quindi Buffalo Springfield e The Byrds essenzialmente. L’ottavo brano è Sinister Purpose. Una splendida cavalcata dal sapore quasi hard rock, con una progressione incalzante e a tratti claustrofobica ed estraniante. Se ce la immaginassimo più esasperata, cupa ed enfatica potrebbe benissimo essere un pezzo dei Black Sabbath. Brano bellissimo, potente. A chiudere l’album è una cover. The Night Time Is The Right Time. Classico del soul targato Brown/ Cadena/ Herman. Già proposto da Ray Charles nel decennio precedente, qui viene reinterpretato con un ritmo trascinante, con un piglio rhythm’n’blues da Rolling Stones. Niente altro da aggiungere su un album che, forte di una formula ormai consolidata, non presenta una sbavatura. E che, forte dell’atmosfera del ’69 fatta di tours, festivals e soprattutto Woodstock, manda sempre più in orbita la band di John Fogerty.

Sara Fabrizi

RECENSIONE SECONDO ALBUM DEI CREEDENCE CLEARWATER REVIVAL

Autore: Creedence Clearwater Revival

Titolo Album: Born On The Bayou

Anno: 1969

Casa Discografica: Fantasy Records

Genere musicale: Rock

Voto: 9

Tipo: LP

Sito web: http://www.creedence-online.net/

Membri band:
John Fogerty – voce, chitarra, sax tenore, armonica a bocca, tastiere
Tom Fogerty – chitarra, voce
Stu Cook – basso
Douglas “Cosmo” Clifford– batteria, voce

Tracklist:
1. Born On The Bayou
2. Bootleg
3. Graveyard Train
4. Good Golly Miss Molly
5. Penthouse Pauper
6. Proud Mary
7. Keep On Chooglin

Dopo il primo album, quello omonimo, che lancia e consacra i CCR, arriva Born On The Bayou che consolida e radica la loro presenza sulla scena del Rock. Messi apparentemente in sordina (ma mai abbandonati!) i toni prevalentemente blues degli esordi, è qui che avviene di fatto l’emancipazione dal continuum blues e l’approdo alla forma minimale chitarra-basso-batteria. Ossia la forma che inventa il loro Rock: semplice, essenziale, eterno. E il compimento di questa “rivoluzione” e crescita musicale assume le sembianze di un deciso country-folk rock. 7 brani, durata totale di poco più di mezz’ora, un concentrato di sano rock che vede stavolta soltanto una cover e per il resto alcune indiscusse pietre miliari. Il primo brano è quello che dà il titolo all’album, Born On The Bayou. Oltre 5 poderosi minuti sul territorio di confine fra soul e blues. Un vero e proprio trip sul Delta del Mississipi che lascia spazio a volumi e riff quasi da hard rock ante licteram. Potentissimo. Un album che si apre così non può che promettere bene. Quindi passiamo al secondo pezzo, Bootleg. E’ il pezzo più breve dell’album, poco più di 3 minuti. Un boogie veloce e ritmato in cui la chitarra acustica la fa da padrone, come nella migliore tradizione blues. Sempre questo blues, da cui i CCR si emancipano e ritornano al contempo, reinventandolo in una chiave rock accessibile a tutti. Vero e proprio leit motiv della loro produzione musicale. Il terzo brano è Graveyard Train. Una lunga cavalcata blues, più di 8 minuti. Chiudiamo gli occhi e arriviamo dritti al Delta del Mississipi, tra paludi e voodoo. Qui l’anima nera di Fogerty viene fuori come poche altre volte. Pezzo scuro ed oscuro, a tratti ipnotico, con un basso e un’armonica che ti si infilano nel cervello in maniera ossessiva. Ascoltare un brano del genere diventa sempre un’operazione multisensoriale, non si ascolta semplicemente..,si immagina in maniera iperrealistica e si viaggia! Il quarto pezzo rappresenta l’unica cover presente. Good Golly Miss Molly. Chissà cosa avrà pensato Little Richard nel sentire riarrangiare così la sua celebre hit del decennio prima. Vero e proprio tributo a uno dei padre putativi del Rock n Roll. Sfrenato e carico di riff. Una versione davvero formidabile che avrà lasciato a bocca aperta anche i suoi genitori biologici, il duo Blackwell – Marascalco. Il quinto brano è Penthouse Paper. Anche qui è il blues a farla da padrone, con la chitarra di Fogerty in assoluta evidenza e un riff che ricorda I Ain’t Superstitous di Howlin’ Wolf. Quindi giungiamo al sesto brano: Proud Mary. E qui il titolo non necessiterebbe nemmeno di un corollario. Tanto famoso e coverizzato è il pezzo. Una hit che più hit non si può. Il primo vero grande “successo” di Fogerty. Semplicemente una delle canzoni più famose, vendute e cantate al mondo. Stavolta non c’è ombra di blues. Raccontando la storiella di questa Mary, volitiva ed emancipata, il cantautorato americano si veste di country rock dopo decenni di blues nero. Ed al famigerato blues (nello specifico rhythm n blues) si torna con il brano che chiude l’album. Keep On Chooglin. Oltre 7 minuti di assoluto godimento. Ritmo incalzante e sfrenato, e un’armonica alla Canned Heat. Un finale quasi hard rock. Un brano che conferma l’anima nera di questo loro secondo lavoro, il più “Delta del Mississipi” della loro carriera. Un album scritto e realizzato in pochissimo tempo. Che ha bruciato i tempi e che con altrettanta rapidità si è imposto prepotentemente all’attenzione del mondo del Rock.

Sara Fabrizi