Intervista ai The Blank Canvas: Vantablack

The Blank Canvas è una tela vuota ma densa di potenza e di progressiva oscurità dove fusti, valvole, vocalizzi armonici e atmosfere elettriche si amalgamano creando un monolite granitico e ricco di sostanza. Forgiata dalle menti futuriste di Maurizio “Pappone” Tuci (Incoming Cerebral Overdrive, Deaf Eyes, Karl Marx was a broker), Marco Filippi (Karl Marx was a broker), Alessio Dufur (SUS) e Vanni Anguillesi (Green Oracle, Watzlawick), The Blank Canvas si appresta ad entrare in scena con l’album di esordio “Vantablack” in uscita a
Dicembre per Drown Within Records.

Questo Vantablack è stata una bella scoperta, specie dopo aver ascoltato alcuni progetti pregressi dei musicisti che fanno parte dei The Black Canvas, come il progetto power elettronico Karl Marx was a broker. Ho approfittato per saperne di più e per chiedere una visuale più ampia su un album che è piuttosto criptico e dall’impenetrabile aria avantgarde.

 

Collective Waste: Confesso subito che mi sono fatto uncinare dal nome del disco. Il vantablack è un materiale iper-nero che assorbe la quasi totalità delle radiazioni luminose, creando una superficie praticamente colorata di un nero assoluto. In che modo si relaziona questo concetto all’album?

The Blank Canvas: Come hai anticipato il vantablack è il materiale piu scuro esistente, è una lega artificiale che trattiene più del 99% della luce. E’ un parallelismo con l’oscurità innata umana che, nonostante venga illuminata da una miriade di opportunità, molte volte rimane nera come appunto il vantablack. Ci piaceva l’idea di creare un album che, anche se con varie sfaccettature, mantenesse nell’immaginario una radice dark.

CW: Nella vostra formazione vedo alcuni componenti dei Karl Marx was a broker, progetto tra elettronica e metal che mi è molto piaciuto. Come si è passati da questa (e altre) esperienze di band a quella attuale?

TBC: Il passaggio è stato relativamente naturale. Abbiamo iniziato a comporre nuovo materiale per i kmwab e man mano che i pezzi si definivano abbiamo sentito l’esigenza di dare alla nuova “creatura” un’entità propria. Maurizio (chitarra e synth) è entrato nei kmwab proprio in concomitanza con l’inizio della composizione dei nuovi pezzi portando la sua esperienza ed il suo background, modificando notevolmente il risultato della scrittura. L’arrivo di Alessio Dufur alla voce, dopo anni di musica strumentale, ha definitivamente avvallato questa idea.

CW: L’album è fatto di sonorità poco lineari, caotiche, che lasciano spazio anche alla progressività. Avete scelto dei riferimenti di genere per arrivare a questo stile?

TBC: Il nostro obbiettivo era quello di trovare per The Blank Canvas una sonorità unica. Cosa molto difficile attualmente in quanto, oltre alla capacità di riuscita stessa, esiste nel panorama attuale una sorta di identificazione in determinati generi. Uscire da generi di riferimento comporta un rischio perché diventa difficile capire dove posizionarsi e a chi proporsi. La nostra scommessa è stata quella di riuscire a fare musica con sonorità proprie che riuscisse a trovare il proprio spazio senza agganciarsi ad un filone specifico. Scelta che può risultare un’arma a doppio taglio ma che ci rende comunque orgogliosi. Come riferimenti menzionerei genericamente il metal, il progressive, il post-punk.

CW: Chiaro. Quali altre realtà italiane (del vostro genere e non) vi piacciono e consigliereste di ascoltare stasera?

TBC: Il nostro paese è denso di qualità musicale. In questo periodo mi sono appassionato agli “Arto”, band strumentale capitanata da Luca Cavina. Suonarono qui a Pistoia poco tempo fa e mi presero subito grazie al loro sound lisergico. Ho apprezzato molto l’ultimo dei “Lento”, con i quali siamo amici da tempo. Menziono solo i gruppi che hanno fatto uscire un disco di recente perché altrimenti l’elenco diventa troppo lungo. Quindi vi segnalo “Zambra”, “Loro”, “Nudist”, “Petrolio”, “Miotic”. Per il resto della lista della spesa magari ne parleremo di persona ad un nostro concerto.

CW: Dove troviamo Vantablack e dove vi possiamo ascoltare live?

TBC: Potete acquistare il nostro disco d’esordio in vinile con download digitale o solo digitale presso il nostro bandcamp o tramite il bandcamp della nostra etichetta Drown Within Records e ovviamente ad un nostro live.
Le prossime, nonché prime date dall’uscita del disco, saranno il 12 gennaio a Pistoia presso il circolo H2no ed il 26 gennaio ad Empoli al circolo Arci Brusciana. Altri concerti verranno annunciati a breve.

CW: Grazie ragazzi, continuate così!

TBC: Grazie mille per lo spazio concessoci!

 

Intervista ai Karmamoi : The Day Is Done

In occasione dell’uscita di The Day Is Done abbiamo voluto chiedere qualcosa in più ai Karmamoi, band italiana attiva dal 2008 e che si distingue nella scena prog italiana per l’attenzione al suo sound e all’espressività musicale.
Senza lasciarsi andare ai cliché tradizionalisti e con un’orecchio attento al contemporaneo hanno prodotto un album progressivo melodico con una ispirata sintesi musicale e narrativa. Continua a leggere Intervista ai Karmamoi : The Day Is Done

Intervista: Built-In Obsolescence – INSTAR (2018)

Ho incontrato questo album tra le mie ricerche per la mia rubrica metal e in questi casi mi piace approfondire, quindi eccovi un’intervista con il gruppo.

Built-in Obsolescence è un progetto musicale nato a Riccione attivo dal 2010.
La composizione di base metal partì senza limiti portando la band a maturare nel tempo un sound vicino al Progressive e Alternative Metal con influenze Post e Ambient. La composizione e le trame strumentali sono affiancate a tematiche a tratti oscure e introspettive, costruendo dei veri e propri viaggi attraverso i comportamenti, le speranze e i disagi dell’umanità.

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Split Interwaste – Sedna / Seventh Genocide

Una doppia intervista per due band italiane della stessa scena, quella del cosiddetto post-black metal.

Da una parte i Sedna, matura formazione a 3 da Cesena al loro secondo full length con Eterno, dopo l’album omonimo del 2014 che già personalmente apprezzai. Attualmente militanti nella Drown Within Records.
Dall’altra i Seventh Genocide, band romana del roster Naked Lunch Records, con un album alle spalle, Breeze Of Memories, e uno in arrivo, Toward Akina. Si sono fatti notare con una impegnata partecipazione alla compilation ANTI-NSBM che il collettivo antifascista e anarchico The Dark Skies Above Us mette insieme dal 2015.

Ho fatto ad entrambi le stesse domande per scoprire di più su questa interessante scena che ho già segnalato più di una volta. Continua a leggere Split Interwaste – Sedna / Seventh Genocide

Interwaste – Silent Chaos

Nelle continue esplorazioni del collettivo nei vari underground si trovano le cose più interessanti. E guai a chi dice che in Italia ci facciamo mancare qualcosa.

Gli ossimorici Silent Chaos si definiscono “un duo, o meglio, un tutt’uno musicale”. Sono Ugo Vantini, “cresciuto e sviluppato in un brodo primordiale denso di progressive rock contaminato dal jazz e dal classicismo” e Marta Noone “che si è nutrita di musica industrial riecheggiante in costruzioni gotiche permeate di scariche elettriche”.
Quello che fanno è musica elettronica estemporanea, dalla quale “affiorano echi di musica concreta, cori, suoni tribali, noise e ambient”.

Gli abbiamo fatto qualche domanda per sbirciare dietro quel velo di ermetismo che copre questo genere di cose. Continua a leggere Interwaste – Silent Chaos

Interwaste – Lambstone (Hunters & Queens, 2017)

Ho avuto modo di fare 2 chiacchiere con i Lambstone, formazione rock milanese che nel 2015 aveva debuttato su Virgin Radio con il singolo “Grace”.

Il gruppo si ispira alla grande scena americana dell’alt-rock e post-grunge millenial, che fa molta presa sul pubblico rock italiano che storce invece il naso al rock Made in Italy. Sicuramente forti di un sound sdoganato e radiofonico, i Lambstone hanno avuto la necessaria determinazione e capacità di composizione per un prodotto musicale commercialmente appetibile, nel senso buono.

CW: Ciao, qui Manuel per Collective Waste.
Nel 2015 ci sentimmo per una intervista telefonica in occasione dell’uscita di Grace. Vi sentite in qualche modo evoluti in questi ultimi 2 anni?

L: Ciao Manuel, grazie per ospitarci nuovamente! Sì, decisamente. Abbiamo fatto un lungo percorso di crescita creativa e musicale coadiuvati da un grande produttore artistico, Pietro Foresti, produttore multiplatino di esperienza internazionale.

Con Grace avete pubblicato un singolo rock molto orecchiabile e sicuramente radiofonico e Hunting segue un po’ la stessa scia. Avete avuto risultati soddisfacenti dall’ultima produzione ad oggi?
Assolutamente sì, abbiamo fatto molte esperienze, partecipando a festival importanti e portando la nostra musica in molte città italiane.
Ora il nuovo singolo Hunting è in rotazione su molte radio italiane.

A livello di testi quali temi preferite affrontare? Ho potuto ascoltare più di qualche riflessione sui momenti di forza e debolezza nella vita.
I testi nascono dalle esperienze di vita di tutti noi, dalle emozioni che proviamo, da quello che ci colpisce. Sicuramente uno dei nostri motti di vita è mai arrendersi.

Ascoltando “Jesus” da Hunters & Queens viene inevitabilmente voglia di chiedervi qualche spiegazione.
Jesus Mezquia è il nome dell’assassino di Mia Zapata, cantante del gruppo di Seattle The Gits, uccisa da uno sconosciuto il 7 luglio 1993, ma solo 10 anni dopo il nome del colpevole fu scoperto grazie alla prova del DNA.
Il nostro è un omaggio a Mia, a Seattle e alle donne vittime di violenza.

Perché avete scelto proprio Dust In The Wind dei Kansas come cover track?
È un pezzo che amiamo nella sua versione originale e sia come testo sia come atmosfere ci sembrava adatto per essere rivisitato in chiave Lambstone.

Una domanda fuori tema per conoscervi di più: ultimo concerto ascoltato insieme?  
Il concerto dei nostri amici e “soci” Rhumornero.

Direi che questo è tutto. Grazie e a presto!
Grazie a te e a tutta la redazione!

 

 

Intervista a Dan Stuart @ Deliri Noise Hub, 6 Luglio 2016

“Daniel Gordon “Dan” Stuart (Los Angeles, 5 marzo 1961) è un musicista statunitense noto per essere stato il cantante dei Green on Red e per la collaborazione con Steve Wynn nel duo Danny and Dusty.”

Noi l’abbiamo incontrato grazie all’associazione culturale musicale Deliri Noise Hub presso il locale Deliri Cafè Bistrot di Sora che ha ospitato l’evento.
L’intervista, in inglese, è stata tenuta da Audrey (un grazie anche a Gabriella) e la trovate insieme al concerto nella sezione Live Radio della Stagione 4.

Audrey: Quando hai iniziato a viaggiare, intorno agli anni ’80, hai notato cambiamenti nel modo in cui le persone interpretano la tua musica?

Dan Stuart: Voglio rassicurare i miei amici italiani: dagli anni ’80 ad oggi l’Italia è sempre l’Italia. So che si sono preoccupati di questo specialmente durante gli anni di Berlusconi e durante l’americanizzazione dell’Italia, che inizia alla fine degli anni ’80 credo.
Ma c’è anche qualcosa che è cambiato: ai vecchi tempi chiunque, non importa di quale appartenenza regionale o di classe economica, aveva un po’ il suo senso dello stile. Adesso si vestono tutti nello stesso modo pacchiano, e questo è cambiato. Le generazioni “passate” non hanno perso il loro stile, ma i ragazzi sotto i 40 diciamo, hanno un po’ perso la strada.
Il cibo poi è davvero spettacolare. Non parlo italiano ed è difficile andare in profondità su cosa è cambiato, ma l’Italia in generale è ancora piena di gente accogliente e generosa. Sono stato in Calabria, in Sicilia e il loro livello di ospitalità è davvero impressionante.
Per quanto riguarda il resto dell’Europa ad esempio il regno unito si è molto continentalizzato, quindi si è spostato di più nell’Europa; io sono davvero pro-UE. Non mi piace la sua parte degli accordi commerciali, ma la gente dimentica quanta gente è morta per l’europa nel XX secolo, quindi è importante ricordare quanto l’UE è una idea importante. Gli europei viaggiano molto di più in europa e questa è una grande cosa. Ma per me non c’è Italia, Francia, Spagna: c’è l’Europa e i suoi diversi dialetti.

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A: Qual è il rapporto tra la musica e la letteratura che ti ha ispirato? C’è qualche autore americano contemporaneo che segui?

DS: Sono un prodotto di molti gradi autori del XX secolo, da Hemingway a Raymond Carver. Come questo si traduca poi in musica non mi è affatto chiaro. Sono cresciuto in un’epoca in cui il rock’n’roll era una nuova forma di letteratura, e questo è stato bello.
E anche la critica del rock’n’roll era fantastica, roba molto seria. Scrittori come Richard Meltzer, Lester Bangs hanno iniziato con questo genere che poi è rientrato nella musica pop.
Detto questo le canzoni sono facili da scrivere. Sono come uno sprint, ma nemmeno uno sprint dei 100 metri, sono 50 metri. Una canzone si scrive molto velocemente, puoi metterci anni per finirla ma entra dalla finestra quando la lasci aperta e sai che hai qualcosa. Non c’è bisogno di molta disciplina, al contrario di altre forme di scrittura come ad esempio un romanzo; un romanzo è come una maratona, forse 5 maratone.
È un passatempo, e rende le persone felici, il che è un bene, oppure le fa piangere o ridere. Connette sul livello umano.

Ricordo quando potevi farci soldi. Adesso è un qualcosa di assurdo, ma anche prima lo era, solo che potevi farci dei soldi. Adesso abbiamo tutta l’assurdità ma niente più soldi.
Devi accettare di sembrare patetico, specialmente quelli della mia generazione. Avevo una band che si chiamava Green On Red, che faceva quasi un album all’anno per una decina d’anni. Ma da solo ho fatto solo 3 album, e sono orgoglioso di questo. Perché molti miei contemporanei ne hanno fatti 30: e dici “Davvero? Hai così tanto da dire?”. È molto un fatto economico, perché è cambiato il lato economico della musica. Quelli della mia generazione sono infami perchè screditano i ragazzini, che invece hanno bisogno di ossigeno per fare quello che vogliono e per essere presi sul serio.
Quello che mancano sono le voci critiche e autorevoli che puntano il dito e dicono questo è buono, questo è cattivo.
Ora, dato che internet è piatta, tutti vincono un premio e tutti sono sullo stesso livello di nullità.

13627038_780022465431352_6385186546244289969_nA: Com’è la tua collaborazione con Antonio Gramentieri?

DS: Ho incontrato Gramo con i Green On Red prima del crollo finanziario del 2008. Abbiamo fatto un tour per fare quanti più soldi possibili e cogliere questa opportunità di guadagno facendo una reunion. L’ho incontrato ad un festival e mentre guidavamo lungo la costa della Toscana credo, ho ascoltato la musica che stava facendo per uno show televisivo italiano e gli ho chiesto perché perdeva tempo ad aiutare dei perdenti come me, dovrebbe avere un suo progetto.
Sono stato fortunato coi chitarristi. Altri chitarristi come Chuck Prophet con cui ho prodotto tante canzoni, ama il modo di suonare di Antonio.
È stato un po’ un talento tardivo, ha fatto altre cose nella sua vita, il che contribuisce a quello che metti sul tavolo.
Un po’ come i grandi attori caratteristi del XX secolo, sono tutti attori che sono andati alla scuola con la G.I. Bill (programma di riabilitazione per veterani della seconda guerra mondiale o del vietnam n.d.r.). Sono persone che avevano delle vite prima di diventare famosi, e se porti qualcosa con te dalla realtà, normalmente diventi un migliore compositore, pittore, scrittore.
Penso abbia ancora molto davanti a sé, anche se per me a 55 anni probabilmente è ora di andare via. Non ho mai pensato alla mia vita musicale come una “carriera” che deve finire. È qualcosa che è successa, è giusto dire che ho partecipato al music business perché l’ho fatto. Però se fossi qui nel ‘77 o ‘78 starebbero facendo delle manifestazioni musicali spontanee e ci starei dentro.
Poi qualsiasi cosa stesse accadendo sul piano culturale, il punk rock era così divertente, innocente, immersivo. Ora si pensa al punk rock come uomini pieni di tatuaggi che suonano chitarre a tutto volume, ma non era così nel ’77. Erano amatori, nel senso più classico della parola. C’erano un sacco di strumenti diversi, anche sassofoni e cose così, ed era divertente.
Quando è uscito fuori il termine new-wave è stato perché hanno detto: “Senti, questa etichetta che abbiamo chiamato punk non sta vendendo. Ma se la compariamo al cinema new wave francese degli anni ’50, come Truffaut, potrebbe essere una mossa furba. Lo chiameremo New Wave”.
Questo cambiò tutto, ma io mi sento ancora nel punk rock old school.
Comunque nonstante tutti i dischi che ho fatto, mi sarebbe piaciuto scrivere più libri. Sono uno scrittore pigro, e questo nel rock’n’roll funzionava.
Mi sono divertito, ma avrei preferito fare quello che nella mia mente è considerato un modo più serio di scrivere.

A: Questo porta un po’ alla mia ultima domanda, che è: quali sono i tuoi piani per il futuro? Hai qualche progetto particolare in mente?

DS: Devo finire il secondo libro di Marlowe e devo fare un altro disco di Marlowe. Perché la trilogia è un concetto importante, di qualsiasi cosa tu stia parlando. Quindi ancora due libri di Marlowe, a cui do il nome a partire dal disco. Il primo è stato The Deliverance of Marlowe Billings, ora Marlowe’s Revenge e il prossimo penso che lo chiamerò The Unfortunate Demise of Marlowe Billings.

È molto difficile andare in tour. Dieci giorni fa ho suonato a Glastonbury e tutti mi hanno detto “Wow!” ma in realtà “There’s no there there”, come disse Gertrude Stein sull’Oakland.
Non c’è un modello su come continuare, l’aspetto economico del rock’n’roll è deplorevole.
Forse le cose cambieranno con gli algoritmi e lo streaming, ma ai vecchi tempi se scrivevi una canzone che tanta gente ascoltava e suonava in radio e vendevi i dischi potevi anche pagarti l’affitto, invece ora è molto dura.
Il sistema è sballato ed è triste. Ricordo che quando un grande artista decideva di far usare un suo pezzo in una pubblicità era una cosa grossa e parecchio negativa. Ora invece tutti cercano il product placement, o di stare in un film; i film sono una cosa diversa, ma anche per questo si veniva criticati. Ma ora è tutto nella cultura del consumo e questa è la sola cosa che paga.

Non posso tanto lamentarmi perché nella storia uno veniva pagato una sola volta: il ricco o il latifondista commissionava un ritratto o un poema e lo pagava. E questo non riflette quello che poi è successo con i diritti di copyright. Forse sono nato sbagliato. È un periodo strano quello attuale, che però è a vantaggio dei ragazzini, che possono decidere quali sono le regole, come nel punk rock.
Possono fare quello che vogliono, se poi ha senso è una questione a parte.

 

Foto di Francesco Salemme e Marco Catallo
Foto di Francesco Salemme e Marco Catallo

InterWaste – Winter Severity Index (Human Taxonomy, 2016)

“Human Taxonomy” è il secondo LP pubblicato a nome Winter Severity Index.

Uscito in questi giorni per i tipi di Manic Depression Records, è stato recentemente presentato in anteprima alla venticinquesima edizione del Wave-Gotik-Treffen di Lipsia, ricevendo una caldissima accoglienza di pubblico.

“Human Taxonomy” (tassonomia umana) nasce da una riflessione sulla pressante volontà classificatoria dell’essere umano, non solo nei confronti della realtà a lui circostante, ma anche di se stesso. L’uomo ridotto a una categoria, incasellato in un ruolo che deve necessariamente ricoprire per essere riconosciuto dalla società, vede sostituire la sua personalità con un modello precostituito, al quale sente in qualche modo di dover aderire, rivendicando, tuttavia, l’esigenza di differenziarsi da esso. Ma anche nel suo dichiararsi diverso, a volte, l’uomo incappa di nuovo in un gioco di maschere ed etichette dal quale è difficile liberarsi definitivamente. Ne consegue un senso di dolorosa alienazione dal suo essere più intimo, che rivendica, infine, la libertà di vivere nelle sfumature e nelle ambiguità.

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Interwaste – Astolfo Sulla Luna ( Ψ², 2015)

a4240133819_10“Ci siamo persi girando in tondo, ma in realtà le nostre orbite non erano tonde né ellittiche. E la realtà era un’illusione. E l’orbita non è più un’orbita costante se il centro o i fuochi variano. E non essere non è il contrario di essere. E se non puoi parlare di parole usando le parole stesse inizi a ragionare per probabilità. Quanto è densa la probabilità che adesso stiamo pensando la stessa cosa? Se la tocco per scoprirlo esercito pressione e la densità aumenta. Errori sistematici, errori strumentali, errori fisiologici, errori di parallasse. In ogni tentativo di misurazione è insito l’errore. Infinite misurazioni implicano infiniti errori ed oltre. Se tu vuoi sapere dove stare e io quando sarò dove voglio essere, ci siamo già persi. Prima di accorgerci di non risuonare più alla stessa frequenza e annullarci per interferenza.
Ostinarsi alla ricerca e, dopo lo scontro con la consapevolezza dell’indeterminazione, il sollievo della consapevolezza dell’indeterminazione.
Applicare l’arte della combinatoria alla teoria degli errori casuali.
Anagrammare il processo cognitivo.
Permutare l’algoritmo antropico.
Per trovare vie di fuga dall’immaginario collettivo.”

“Questo è Ψ², quello che c’è dentro e il rumore che ne deriva, a tratti uguale a quello del mare, altre volte a quello dell’insistente ticchettio dell’orologio, altre a quello del fischio alle orecchie prima di chiudere gli occhi.”

 

Collective Waste : Astolfo venne incaricato da Dio di andare sulla Luna, luogo in cui si trova tutto ciò che sulla Terra è andato perso, per recuperare il senno dell’Orlando folle. Voi cosa state cercando?
FRA: Di complicarci la vita
LIA: La felicità e un synth
GIANLUCA: probabilmente qualcosa che non esiste e di cui ho un’immagine solo confusa

A quanto è uguale phi quadro? 2A cos(pi/2) è un’onda sinusoidale? Siete convinti dell’incompletezza dei sistemi formali? Insomma, perché tutta questa matematica?
FRA: Per complicarci la vita
LIA: Non ho capito la domanda, al liceo in matematica prendevo sempre 2
GIANLUCA: La matematica spiega molti aspetti della realtà, ma ti confessiamo che alla fine anche noi non siamo riusciti a comprenderli del tutto.

I testi urlano quella poesia tra la verità e il delirio, mentre la musica è acida, jazzcore. Gli Zu che parlano. Come si è creato questo insieme?
FRA: Le nostre vite erano troppo poco complicate
LIA : Dato che il nome Zu era già in uso abbiamo dovuto optare per Astolfo.
GIANLUCA: La cosa buffa è che all’inizio cercavamo un cantante… Poi solo dopo le prime bozze strumentali, è venuto fuori questo mix al quale, dopo un po’, abbiamo finito per affezionarci.

Alcuni brani sembrano avere citazioni cinematografiche, tra le quali “La Notte” di Antonioni. Vi va di spiegarle?
FRA: Troppo semplice questa domanda
LIA: Mi piacciono i film intellettualoidi colti in bianco e nero e coi colori sbiaditi, adoro antonioni.
GIANLUCA: Di solito i nostri pezzi nascono da cose che non hanno a che fare con la musica. A volte anche scene di film. E’ più difficile spiegarlo che realizzarlo… E ti assicuro che realizzarlo non è facile.

Mi ha colpito il vostro scrivere che l’approccio alla composizione è simile a quello dell’opera classica. In che modo?
FRA: Questa è la parte complicata
LIA: Questa domanda è troppo difficile ma generalmente io maltratto gli altri due del gruppo.
GIANLUCA: Le idee di partenza le sviluppiamo in maniera molto umorale e soprattutto senza preoccuparci troppo della forma canzone. Nella musica classica io ci ho sempre visto qualcosa del genere.

Ok, grazie ragazzi. Ultima domanda: vi sentite, come musicisti in qualche modo, un po’ scarti collettivi?
Il musicista è uno scarto collettivo, ma uno scarto collettivo per scelta.

METTI UNA SERA IN UN PUB CON GLI SHEOPARD

foto di Giorgia Patriarca
foto di Giorgia Patriarca

C’è aria di Folk Swing in terra ciociara. Rivisitato e reso moderno dagli Sheopard. Il progetto nasce nel 2012 ad opera di Giorgio Monoscalco (chitarrista) e Luigi Bocanelli (bassista) che si pongono da subito l’obiettivo di rievocare il Folk Rock internazionale innestando su questa base elementi tipici dello Swing, del Rock ‘n’ Roll e del Surf anni ’60. Al nucleo originario del gruppo si aggiungono poi Roberto Moriconi (batteria) e nell’ottobre del 2013 Giacomo Aversa (voce). Questa la formazione completa della promettente Band del frusinate, io ho avuto il piacere di intervistarli per voi. Continua a leggere METTI UNA SERA IN UN PUB CON GLI SHEOPARD