Relapse Sampler 2019

Mi dolgo di non aver fatto la rassegna di questo campionario nel 2018 sul blog (ma l’ho fatto nei podcast, da qualche parte). In ogni caso rimedio ora, scorrendo i 26 brani del 2019 ora che un anno è appena finito e un nuovo anno è appena cominciato: un anno in più per sognare, per amare, per Radio Collective Waste (cit.).

  1. Torche – Admission *
    Dall’album omonimo, con vibrazioni molto piacevolmente simili ai newyorkesi A Place To Bury Strangers, con un tocco di melodia rock in più.
  2. Red Fang – Antidote *
    Scopro che il gruppo stoner ha prodotto un gioco mobile dove devi fare headbang per giocare. Penso non serva dire altro.
  3. Gatecreeper – From The Ashes
    Da Deserted, si passa qui al death groovoso e ritmico. Piacevole ma un po’ stantio.
  4. Full Of Hell – Burning Myrrh
    Si scatena l’inferno. Extreme metal brutale simile a certi Anaal Nathrakh. Questo brano dimostra di saper calibrare bene la violenza, ma lascia la pulce nell’orecchio per l’intero album, Weeping Choir.
  5. Monolord – The Last Leaf *
    Messi meritatamente al primo posto di The Obelisk per lo stoner 2019 questa formazione dimostra la loro padronanza del genere in No Comfort fin dalle sue radici. Questo campionario mi e ci fa da paracadute per molte band che sfuggono durante l’anno, ma in questo caso ringrazio anche Leo Durruti che è arrivato prima.
  6. Ceremony – Turn Away The Bad Thing
    Con una copertina colorata e un album che si chiama “In the Spirit World Now!“, questa outfit ricalca new wave e in qualche modo il post-punk degli anni che furono, non senza originalità.
  7. Exhumed – Ravenous Cadavers
    Death iper-aggressivo con anche una punta di grunt di cui personalmente non sono un fan. Anche questa nuova fatica del gruppo che supera i 20 anni di carriera non emerge.
  8. Inter Arma – Citadel
    Anche come uno dei nomi più quotati dell’anno non riescono a entusiasmare. Comunque è un doom carico e duro, ben prodotto, con forse qualche sorpresina nelle pieghe dell’album Sulphur English.
  9. Devil Master – Black Flame Candle
    Heavy metal classico, con un’infusione di black qua e là, specie nella voce. Interessante lettura del genere.
  10. Candy – Super Stare
    Un metal dal sapore degli anni ’00, decisamente thrash, con però delle voci più contemporanee e dei tratti di produzione piuttosto audaci.
  11. Devourment – Cognitive Sedation Butchery
    Brutalità grugnante e slammante, for maniacs only.
  12. Coffins – Forgotten Cemetary
    Da Beyond The Circular Demise death senza fronzoli e con qualche velleità doom, del quale non riesco ad apprezzare la voce ibrida e camuffata.
  13. Ringworm – Death Becomes My Voice *
    Brano da disco omonimo con una bella intro d’esperienza, che apre ad un hardcore/deathcore ben fatto.
  14. Pinkish Black – Concept Unification *
    Psichedelico e contemplativo, esplora l’oscurità con gli strumenti degli Om e degli Swans.
  15. Cherubs – Sooey Pig
    “The noisiest pop music on the planet”. È senz’altro heavy rock, con una voce che ha trovato il suo posto nel mondo e dei riff stoner che non passano inosservati. L’album è Immaculada High.
  16. Victims – The Horse And The Sparrow Theory *
    Hardcore crust-punk che ha accelerato 2x il doom e ha l’influenza del suo miglior mood.
  17. Zonal – System Error
    Duo elettronico di Justin Broadrick (Godflesh, Jesu) e Kevin Martin (The Bug, Mind Midas Sound), è un enigmatico mix di Death Grips e industrial. L’album è Wrecked.
  18. Steve Moore – The Bite
    OST del film Bliss, ingiudicabile da un solo brano. È comunque un pezzo progressivo e ambientale, fortemente elettronico.
  19. Obituary – A Dying World
    Primo singolo dopo l’album self-titled del 2017, non mostra segni di cambiamento (nel bene e nel male).
  20. Integrity – All Death Is Mine
    Modern metal, aggressivo e con vocals interessanti. Trattasi di un singolo, quindi conta poco più di un trailer.
  21. Author and Punisher – A Crude Sectioning *
    Produzione industrial elettronica dal gusto molto contemporaneo con l’aggiunta di note doom e harsh notevoli.
  22. Nothing – Heavy Water / I’d Rather Be Sleeping
    Ancora un noise rock, stavolta leggero ma sferzante come una brezza fredda. Ottimo per una OST.
  23. Mammoth Grinder – Lunar Mass
    Ci svegliamo con extreme metal tanto forte quanto anonimo.
  24. Outer Heaven – Cryptic Visions
    In Pennsylvania pestano pesante ma sono ben ispirati da un sound strutturato e più di qualche reminescenza. Buona produzione.
  25. Incantation – The Ibex Moon
    Ancora death brutale rimaneggiato, dalla reissue di Upon The Throne of Apocalypse. È memorabile solo il cover artwork di Wes Benscoter (Slayer, Nile, Cattle Decapitation).
  26. Merzbow – Woodpecker #1 *
    Sono pieno di gioia nel vedere chiudere il campionario a questa leggenda del noise giapponese. Registrato in presa diretta senza postproduzione e rimasterizzato dal produttore di Isis (R.I.P) e Electic Wizard Plotikin nel disco Pulse Daemon.
    Il suono grezzo del noise si sposa benissimo col gusto del metal, e spero di vedere in questo 2020 più collaborazioni tra i due generi.

I brani contrassegnati da * sono quelli di cui si consiglia l’ascolto e l’approfondimento.

Top 10 Albums 2019 (Manuel edition)

Non c’è Dicembre senza top 10 a chiudere l’anno con la raccolta degli album che meglio hanno riempito i miei ascolti. Includo solo dischi usciti nel 2019, in ordine sparso e senza velleità di recensione, selezionati in base ad un mix tra merito oggettivo e apprezzamento personale. Mi unisco da anni (dal 2013!) a questa tradizione ormai affermata tra gli appassionati, perché è bello confrontare i gusti e tirare le somme dell’anno che va a terminare. Quando e se volete commentate e linkate la vostra personale classifica qui sotto.

  • Fontaines DC – Dogrel
  • King Gizzard And The Lizard Wizard – Infest the Rats’ Nest
  • Alcest – Spiritual Instinct
  • Fleshgod Apocalypse – Veleno
  • Soen – Lotus
  • In Flames – I, the Mask
  • Druids – Monument
  • Opeth – In Cauda Venenum
  • Downfall of Gaia – Ethic of Radical Finitude
  • Russian Circles – Blood Year

Ascolti metallici di Novembre (#2 STA8)

Leprous – Pitfalls

Nuovo disco di Einar e compagni, anche se più di Einar che dei compagni. I livelli di metal sono ormai ai minimi storici, ma per la seconda volta il gruppo norvegese riesce a farci dire che è un bellissimo disco nonostante questo.
Il singolo Alleviate è ammiccante al punto da prestarsi ad un duetto con Whitney Houston; fortunatamente però ci sono brani come By My Throne e The Sky Is Red che permettono di non ritrovarci con un album fatto col dado vegetale.
Però capiamoci: è da ascoltare bene e senza riserve.

Alcest – Spiritual Instinct

Nuovo disco di Neige e compagni, che non è tutto tutto perfetto, ma racchiude almeno due brani davvero notevoli.
Rientra nel sentiero dell’atmospheric black solcato dalla band fin dagli inizi, che mette in mostra il francese come lingua lirica per questo sottogenere di metal con ottimi risultati. Emozionante.

Rosetta – Terra Sola

A due anni di distanza da Utopioid la formazione americana torna con un altro disco in pay what you want con tre bei brani post-metal, melodici ed evocativi, perlopiù dedicati al nostro pianeta in crisi ecologica.

Ascolti metallici di Ottobre (#1 STA8)

Che poi non sono solo di Ottobre ma anche di Settembre e non solo del 2019 ma di qualsiasi anno volete che sia.

Opeth – In Cauda Venenum

Sono tornati e stanno dando seguito a quella trama complessa e impenetrabile iniziata con The Sorceress. È uno di quegli album da ri-ascoltare per coglierne la bellezza melodica e la qualità dei singoli brani, mentre il mood generale è disteso e universalistico e si fa sempre più denso con l’arrivo della fine dell’album (cosa che si poteva capire dal titolo). Il progressive da manuale.

King Gizzard and the Lizard Wizard – Infest the Rat’s Nest

Sono stato colto di sorpresa dallo scatto quasi trash dell’ultimo disco della formazione eccellente australiana. Se già non vi avevano conquistato (come è possibile?) con questo tassello completano una gamma di produzione da calare la mascella. Traccia preferita di Greta Thunberg: Planet B.

Cult Of Luna – A Dawn to Fear

Dopo una pausa di oltre 10 anni, il nuovo disco ripropone il sound dell’epoca come se fosse nuovo di pacca. Post metal solido e inesauribile per dimostrare che la prima scuola rende ancora tanto. Traccia preferita: Nightwalkers.

Chelsea Wolfe – Birth of Violence

C’è poco da fare quando ti innamori. Una copertina che parla da sola e un’impronta folk che ci intrappola per poi inchiodarci a quel suo umore decadente. Non mi è piaciuta troppo la costruzione dell’album e l’ammiccamento del singolo, che però funziona.

No, non ci metto i Tool perché tanto li avete già ascoltati.

Franco D’Andrea “New Things” + Gemma Sugrue & the Julien Colarossi Quartet @ Atina Jazz 2019

È tornata la qualità ad Atina Jazz. Ci tengo a dirlo perché credo ci sia stata una certa perdita di pubblico negli ultimi anni, che ora merita di essere recuperata dall’evento jazzistico della Valcomino.

L’apertura è stata affidata al quartetto di Julien Colarossi (ITA), chitarrista jazz giovane, come tutta la formazione, ma con esperienze live internazionali. La voce è di Gemma Sugrue (IRL), con il quale il quartetto (piano, contrabbasso, chitarra, batteria) non ha tardato ha dare prova del proprio talento.

Performance gradevole e scorrevole, dalle notevoli capacità compositive e liriche, nella quale il jazz veniva su bene dagli strumenti e si mescolava al tocco pop della cantante.
Risultato tiepido ma probabilmente calcolato per non appensantire l’ascolto della prima serata. Scrivo calcolato perché l’exploit finale dedicato a Joni Mitchell ha lasciato inequivocabilmente pensare che i presupposti compositivi e tecnici per uno spettacolo a pieno carico jazz ci fossero appieno, ma siano stati messi da parte per prediligere un’esperienza che accontentasse tutti.

Franco D’Andrea è un nome più che conosciuto nel mondo jazz italiano, ma per chi gradisse presentazioni bastano i numeri delle sue produzioni (160) e dei premi (20 Top Jazz in carriera). La formazione in trio con il suo piano, chitarra e tromba ha offerto oltre un’ora di improvvisazione jazz di altissima qualità. Mirko Cisilino ha fatto un uso camaleontico della tromba, alterando frequentemente il suono dello strumento con vari tipi di sordina fornendo all’ottone, spesso in primo piano, un colore sempre gradiente e mai ripetitivo.
Enrico Terragnoli con chitarra ed elettronica ha dato la cifra sperimentale al sound complessivo, con effetti ed elettronica che hanno contribuito ad un soundscape che stacca dalla tradizionale impronta jazz live. C’è grande bisogno di inserire questi ed altri contributi sonori nel jazz (prestiti dal free ce ne sarebbero a bizzeffe) per dare carattere e far restare appiccicata l’esperienza d’ascolto.
D’Andrea, ça va sans dire, ha dato prova di estrema maestria, e con le prime 2 note mi ha fatto immediatamente ripensare al mio personale pregiudizio sul piano jazz. Niente sbrodolamenti, niente occhiolini, niente ninna nanne. Tra loro sincronia e intesa vincenti.

Tutto bene sotto la luna di Atina Jazz (scelte grafiche a parte).
I prossimi appuntamenti vedranno tra i nomi più conosciuti Bowland, Enrico Rava (in tour speciale per i suoi 80 anni) e Giovanni Guidi.

Commento su Haken @ Rock In Roma 2019

Sinceramente non volevo scrivere nulla sul concerto. C’è poco da dire sulla qualità della musica degli Haken, del loro Vector, e dei loro live. Ho già detto, hanno già detto meglio di me.

C’è poco da dire anche sui New Horizons, gruppo di apertura da Pisa, che se l’è cavata bene a non sfigurare davanti alla grandezza di chi li avrebbe seguiti, non lasciando però alcuna piena soddisfazione.

C’è da dire qualcosa riguardo l’Ippodromo le Capannelle, Roma, l’Italia da Bologna in giù. Rock in Roma, ne parlammo in salotto, fa bene a fare quello che fa. Il video di presentazione con gli hater e tutto il resto.

Non ce la possiamo prendere con nessuno se una band del calibro degli Haken fa fatica a riempire il sottopalco a Roma. Solo con noi stessi e con la cultura della musica.

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Julinko – Nèktar (2019)

Uno di quei progetti che non vedevi l’ora di vedere in giro, perché è troppo bello per non essere vero.

Trattasi di un particolare rock doom etereo che non può che inserirsi nel solco dei lavori maestosi e profondi di Chelsea Wolfe, che ha portato alla ribalta il genere che Giulia Parin Zecchin (visione dei Julinko) affronta oggi con il suo trio.

Questo Nèktar è un prezioso scrigno che racchiude 9 tracce di materiale viscoso nel quale immergersi lentamente.

Noise e voci sinfoniche mettono in chiaro un mood decadente e penitente, mentre il sapore new wave arrotonda le linee vocali e i ritmi implacabili aboliscono ogni cliché per inserirsi chirurgicamente nella nicchia di genere.

Servo realizza il sogno di ascoltare un pezzo di questo genere in italiano, con un effetto davvero eccezionale, e Spirit spazia da piacevoli momenti armonici a fondali noise ispirati. Nell’intro di Deadly Romance troviamo addirittura un accenno decisamente metal, con relativo gesto di approvazione per gli appassionati.

Insomma c’è molto in questa formazione italiana, che si fa meritatamente applaudire in tutta Europa e che segna con questo disco un momento importante di espressione musicale di genere.

Kungens Män – Chef (2019)

Gli Uomini del re vengono da Stoccolma, sono in giro dal 2012 e hanno sfornato una quantità di dischi che i King Gizzard & the Lizard Wizard al confronto sono dei principianti. Ventidue, stando agli archivi di Rate Your Music. Una valanga di note che ha radici ben salde nello space rock e nell’improvvisazione radicale, in quei territori dove la musica è un viaggio e un’esplorazione, dove è bello e sano giocare con i drone, gli effetti e l’ipnosi.

C’è di che perdersi, insomma, da qualsiasi punto la si approcci. Noi però, per renderla un poco più semplice (e perché ci interessa il qui e l’ora), la prendiamo dalla fine, da questo disco partorito poco più di un mese fa dalla benemerita etichetta inglese Riot Season. Un disco che trasuda rock e improvvisazione, composto da quattro lunghe jam (per circa quaranta minuti di durata) che partono calme ma poco rilassate, ricolme di quell’ansia sottotraccia che solitamente s’accompagna ai ronzii che si ripetono e si avvolgono, alle atmosfere cupe e alle ritmiche motorik (impressionante quella di Fyrkantig böjelse). Partono calme, si diceva, e poi esplodono in battaglie spaziali con raffiche di wah-wah (da brividi quelle ossessive di Öppen för stängda dörrar) e distorsioni. Oppure s’imbarcano da subito sulla navicella in tempesta, tuffandosi a capofitto con le chitarre cariche e affilate in un gorgo di rumori (Män med medel). Oppure, come nella traccia di chiusura Eftertankens blanka krankhet, inducono l’ipnosi con una linea di basso ripetuta fino allo sfinimento e ci costruiscono sopra edifici di melodie che profumano d’oriente.

Non è affatto un disco facile e immediato questo “Chef” (no, la cucina non c’entra nulla, chef significa «capo» in svedese), ma nemmeno un pippone aristocratico senza capo né coda. È un viaggio non previsto che richiede la giusta dose di attenzione (e se ci mettete la giusta dose di qualcos’altro non fate nessun danno), dal quale si esce felici e un po’ storditi.

Intervista a Petrolio – L+Esistenze

Il rumore come musica (e la musica come rumore) è qualcosa che non tutti colgono. Petrolio è un progetto nato da e nel noise, seppure il suo ideatore, Enrico Cerrato, ha un background metal, industrial, jazz e punk.
Tanti nomi e tante etichette affastellano la sua figura: Dio Drone, Toten Schwan Records, MaiMaiMai, Bologna Violenta, Uochi Toki, per dirne alcuni. E questa compositività si riflette nel disco L+Esistenze, nel quale c’è il contributo di vari artisti del panorama noise internazionale.
L’abbiamo intervistato per avere un varco informativo nel noise dei brani, che potete ascoltare sul suo bandcamp.

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Ascolti pesanti di Marzo: Downfall of Gaia – Ethic of Radical Finitude, cameraoscura – quod est inferius

Il primo ascolto pesante di questo mese è un album dell’outfit tedesca Downfall of Gaia, un post black metal che spinge il suo stiletto affilato nel profondo delle menti e trascina in una perturbazione dell’animo di 45 minuti. Graffiante, con pezzi lunghi, suoni ben calibrati ed un equilibrio praticamente perfetto tra ferocia e vento leggero. Un tuffo nell’abisso dell’individualismo, del tempo, della finitudine, del nichilismo codificato con il top degli stilemi del black metal “atmosferico”.

parafrasando la massima ermetica, “quod est inferius” indaga “ciò che è più in profondità” in maniera simile a quello che potrebbe essere un processo alchemico, attraverso la mescolanza e la trasmutazione di suoni disciolti e fusi insieme fino a divenire la manifestazione musicale di qualcosa che giace sepolto (non si sa dove) ma in attesa di emergere in tutta la sua potenza e caoticità. in un’oscura e putrescente “Nigredo” i suoni ribollono nel calderone alchemico (Atanor), fino ad acquisire forma e struttura dietro le quali si cela un’essenza che si manifesta in seguito a un percorso di ricerca e conoscenza (V.I.T.R.I.O.L.). essenza che non rifulge di aureo splendore bensì rimane nera, carica di una forza annichilente che si sprigiona in maniera (anti) catartica distruggendo (Attera), dissolvendo (Solve) fino all’ultimo, tonante battito del cuore di questa mostruosa chimera senza volto (Ultima Necat).

In questa camera oscura, con le pareti imbottite di ermetismo ed alchimia, c’è un delicato e pervasivo pulviscolo dark ambientale.
Qui la pesantezza non è quella del timbro, del pezzo, ma della sovrannaturale costruzione di una stanza intorno a noi, come se le mura cambiassero forma, assumessero connotati distopici, evocati dai suoni umidi, dai ritmi industriali e da colonne sonore orrorifiche. Questa stanza segreta, stupefacente e psichedelica, si attiva con ogni playback.

Release numero 100 dell’etichetta underground Toten Schwan Records, nichilista iconoclasta, orgogliosamente creative commons.