Il blues è prima di tutto un sentimento, una conoscenza sensoriale, un’entità non una teoria, in cui il sentimento è la forma e il viceversa. Blues è il passato, l’andato, tutto ciò che è stato espresso e l’espressivo, l’esperienza andata, l’ignoto che verrà e ogni cosa al di fuori del tempo.
Amiri Baraka, Il popolo del Blues
“To have a blue devil’s”, avere i diavoli blu… con questa frase di origine vittoriana si identificava uno stato d’animo, un malessere nei confronti della vita, un sentimento.
Il blues identifica la tradizione musicale che più ha caratterizzato lo status e la cultura delle popolazioni nere americane.
È difficile stabilire una data esatta dell’origine del blues ma si può tracciare un periodo storico: probabilmente iniziò a circolare negli Stati Uniti d’America tra l’ultima decade del 1800 e i primi anni del 1900.
Il luogo di origine era il Sud, nel Delta del Mississippi, una vasta piana alluvionale che sorge alla confluenza di due fiumi: il Mississippi e lo Yazoo. Era questa una terra fertilissima che produsse dall’inizio del diciannovesimo secolo grandi quantità di cotone alla cui raccolta fu destinato un numero enorme di schiavi che per alleggerire la fatica e comunicare tra loro, iniziarono a cantare i propri sentimenti.
“John the revelator” è un canto tradizionale, una delle canzoni più influenti per tutti gli artisti blues. Blind Willie Johnson registrò “John the Revelator” nel 1930. Successivamente una serie di artisti registrarono le loro interpretazioni della canzone, spesso con variazioni di versi e musica tra cui appunto Son House con la versione che qui vi propongo. Il titolo della canzone si riferisce all’apostolo Giovanni, autore del “Libro della Rivelazione” e cita alcuni passi della Bibbia.