Nelle continue esplorazioni del collettivo nei vari underground si trovano le cose più interessanti. E guai a chi dice che in Italia ci facciamo mancare qualcosa.
Gli ossimorici Silent Chaos si definiscono “un duo, o meglio, un tutt’uno musicale”. Sono Ugo Vantini, “cresciuto e sviluppato in un brodo primordiale denso di progressive rock contaminato dal jazz e dal classicismo” e Marta Noone “che si è nutrita di musica industrial riecheggiante in costruzioni gotiche permeate di scariche elettriche”.
Quello che fanno è musica elettronica estemporanea, dalla quale “affiorano echi di musica concreta, cori, suoni tribali, noise e ambient”.
Gli abbiamo fatto qualche domanda per sbirciare dietro quel velo di ermetismo che copre questo genere di cose.
Il vostro progetto musicale è fortemente basato sull’improvvisazione.
Qual è il vostro setup durante le performance?
Marta: Il mio setup si basa sul sintetizzatore modulare che uso come generatore di suoni, sequenze e texture, con una patch di base che modifico in corso d’opera a seconda del feeling del momento; inoltre faccio passare la voce, già processata con overdrive e riverberi, dentro un modulo di sintesi granulare, in modo che crei un effetto pad molto particolare, allo stesso tempo distorto e sognante (come me, del resto). Modulare e voce entrano audio in Ableton Live, in cui vengono elaborati ulteriormente con vari processori di dinamica.
Sono arrivata al sintetizzatore modulare dopo essere passata per diversi strumenti (chitarra classica ed elettrica, violino, sintetizzatori classici tipo Moog, drum-machines e setup totalmente digitali) ed ho trovato il mio strumento ideale: è in qualche modo la sintesi di tutti gli strumenti che ho suonato in precedenza; ma va oltre, perché ha possibilità potenzialmente infinite: è quantisticamente connesso al mio cervello e posso tirarne fuori sonorità sempre nuove, non riconducibili a nient’altro di esistente.
Ugo: Uso una batteria elettronica a pad che preferisco suonare con le mani piuttosto che con le bacchette, perché mi consente un’espressività maggiore, sia con i suoni più percussivi che con i loop o i suoni più intonati e armonizzati tra loro. La collego via midi a un plugin dove carico e gestisco i campioni audio. Amo cambiare il pitch dei suoni che uso per stravolgerne totalmente la sonorità, oppure inserire intere registrazioni ambientali e rallentarle in modo che ne fuoriesca l’intima natura. In tal senso, abbiamo cominciato a creare una nostra personale libreria sonora registrando qualsiasi cosa ci piaccia o troviamo interessante nello spazio che ci circonda; per capirci: dal nostro cane che mastica una palla di gomma fino a un termosifone percosso con le mani, da una cascata d’acqua sorgiva a un tavolo metallico usato come grancassa.
Ho suonato per anni la batteria acustica in gruppi storici di progressive, blues, rock, in contesti musicali diversi tra loro, ma sempre inquadrati in schemi prefissati, con molta tecnica, cambi di tempo articolati e poco spazio per l’improvvisazione; ora sono arrivato finalmente a sintetizzare, attraverso l’uso minimale di uno strumento elettronico e grazie all’interazione con Marta e la sua visione nell’uso dei sintetizzatori, un nuovo modo di esprimermi, molto più musicale e non meramente batteristico. Forse è il setup più divertente e appagante che abbia mai usato – e ne ho usati molti – perché non ha limiti, se non quello della mia fantasia.
Marta: È vero, lui più che un batterista è un direttore d’orchestra!
Come approcciate la registrazione dei brani e quali paletti vi date? Preferite registrare live o lavorare su una traccia?
Ugo: Registriamo sempre tutte le prove (dalla semplice prova di suoni e patch alla prova vera e propria del live, come usava fare il buon Frank Zappa) e le esibizioni live. La preparazione dei brani si basa sui suoni da usare e su un’intenzione concettuale generale che poi viene sviluppata durante il concerto, ogni volta con sfumature ed elaborazioni diverse. L’improvvisazione riguarda quindi la sola esecuzione, che cambia sempre, in base al luogo e al tipo d’evento, al mood nostro, del pubblico e del suo coinvolgimento, dell’energia generale.
Marta: Dopo la registrazione passiamo alla fase di missaggio, in cui i suoni vengono puliti e spazializzati; ma l’intenzione generale rimane immutata, non ci sono tagli né modificazioni di nessun tipo, al massimo un assemblaggio di due o più momenti – quando riteniamo abbiano una naturale consequenzialità – che vanno a creare brani molto lunghi, anche oltre i 12 minuti.
In generale preferiamo che il brano finale rimanga immutato rispetto all’originale, per conservare la testimonianza di quello specifico e speciale momento irripetibile.
Ci sono dei generi o degli stili musicali ai quali vi sentite appartenenti, o ispirati?
Ugo: come riferimento ai Silent Chaos no, anche se ho suonato ed ascoltato di tutto: dal progressive al blues, dal jazz alla techno. Si può accostare la musica dei Silent Chaos all’avant-garde di Nono o Ligeti, soprattutto nelle nostre escursioni più estreme e folli, o alla musica elettronica sperimentale contemporanea o ambient o drone, ma in realtà non abbiamo mai pensato di inserirci in un filone specifico.
Qualcuno ci ha detto che siamo innovativi, forse anche troppo per essere totalmente compresi in questo momento storico.
Marta: La musica che facciamo è la diretta emanazione del nostro spirito, di chi siamo e di cosa pensiamo; ogni brano è un universo in cui tuffarsi, è un discorso su un tema di attualità o un massimo sistema, è un dialogo tra noi e il pubblico, è una riflessione e spesso una critica su come siamo diventati, come Umanità, e sul Mondo in cui viviamo, su questo momento storico, purtroppo buio e culturalmente piatto.
Ho potuto ascoltare alcune vostre apparizioni a Radio Kaos Italy con Antonio Bilo Canella. Come è stato unire la performance musicale a quella vocale della lettura?
SC: Il progetto con Bilo riguardava l’improvvisazione musicale e vocale su temi epici e mitologici, decisi e sviluppati di volta in volta. È stato molto interessante perché ci ha permesso di creare mondi musicali nei quali Bilo si inseriva con la sua performazione, anch’essa totalmente improvvisata. Riteniamo il tema del mito molto importante per comprendere, in maniera non direttamente razionale, ciò che muove l’essere umano. Abbiamo fatto con Bilo diverse performance in luoghi molto particolari, ogni volta con un argomento epico diverso: dall’Epopea di Gilgamesh alla fuga di Enea da Troia, da Atlantide ai Misteri Mitraici ed Eleusini. In radio ovviamente è stato più difficile per una mancanza di spazio e la distanza, eterea, con il pubblico, che è sempre molto importante per la sua trasmissione di energia.
Quali realtà trovate accoglienti per il vostro stile musicale? Dove suonate e dove venite ascoltati?
Marta: Fosse per me, suonerei solo ed esclusivamente in boschetti silvani e rovine antiche. Sicuramente non mi piace suonare nei locali per fare da sottofondo a gente che chiacchiera e beve. La nostra è Arte con la A maiuscola, e necessita di silenzio e della giusta concentrazione. In ogni performance doniamo gran parte di noi agli astanti, tutta la nostra energia è volta a dare il meglio e sempre di più, e per fare ciò abbiamo bisogno di attenzione e rispetto.
Ugo: Gallerie d’Arte o luoghi che accolgano positivamente il nostro tipo di proposta; proposta che comprende anche una parte visuale importante che stiamo sviluppando, e su cui puntiamo molto per le nostre esibizioni future.
Tutti i progetti hanno un obiettivo. Qual è il vostro?
SC: In realtà la nostra è una necessità, non possiamo fare altro che questo. Se c’è un obiettivo, è sicuramente quello di accendere qualche luce in questo buio che ci avvolge, di ricordare a tutti che in questo mondo iper-materialista la fantasia e l’immaginazione esistono ancora, e scalciano potenti sotto il velo dell’indifferenza.
Noi siamo qui, e continuiamo a sognare.