I Kraftwerk (nome che , in italiano, suona più o meno come “centrale elettrica”) sono un gruppo che ho imparato ad apprezzare solo da un anno a questa parte. Grazie al gentile suggerimento del mio amico Luca [le aule studio della facoltà di Ingegneria sono piene di risorse a volte, sapete?] . Con questa recensione analizzerò uno dei lavori di punta, forse uno dei più riusciti del gruppo: Trans Europe Express.
Con i Kraftwerk l’elettronica inizia ad abbandonare il suo ambiente di nicchia per espandersi verso altri mondi, contaminando e dando spunto alla nascita di nuovi generi (che ci crediate o no , una campionatura di un brano di quest’album è stata utilizzata da uno dei primi gruppi Hip Hop). Si tratta quindi di un gruppo vitale che ha dato un enorme contributo alla nascita e allo sviluppo di molti generi moderni, oltre ad aver deliziato le orecchie e l’intelletto di molti ascoltatori [me compreso].
Questo lavoro è caratterizzato da un massiccio uso del sequencer che dona un certo senso di ripetitività al lavoro ma attenzione. Il voler essere ripetitivi non significa essere banali ,visto che gli arrangiamenti sono curati ed elaboratissimi [provare per credere, se si pensa che l’album è datato 1977] ma significa voler dare al lavoro una certa anima futurista , nel senso letterario del termine. Basti pensare al concetto di alienazione dell’uomo (ripreso nell’album successivo, the man machine) in cui l’essere umano, schiavo ed amante di una tecnologia sempre più presente ed egemone, è imbrigliato in una monotonia e ripetitività estenuante. Questo Ralf Hütter e Florian Schneider l’avevano capito e vogliono trasmetterlo anche a noi attraverso i loro lavori. Sono sicuro che, una volta appurato questo, non avrete più lo stesso approccio con la musica elettronica in generale (ovviamente mi riferisco sempre a lavori di un certo calibro).
Ma torniamo a noi: alcuni brani dei Kraftwer sono solitamente ad un oggetto della società moderna. Quello di Trans Europe Express è il Treno [la Trans Europe Express era una vecchia compagnia ferroviaria che collegava tutta l’europa]. Un treno che porta via con se tutto il concetto molto ampio di viaggio, inteso sia come spostamento fisico che analisi del proprio io interiore. Ma la ferrovia e le locomotive non sono solo un tema trattato ed è questo che mi ha affascinato fin da subito.
Già dalla prima traccia (Europe Endless) si è totalmente immersi in un atmosfera tipica del viaggio. Se si chiudono gli occhi sembra di essere seduti nel proprio scompartimento ad ammirare il paesaggio scorrere ai tuoi piedi in un continuo trascinarsi, quasi affaticato (basta pensare ai vari “Endless” magistralmente ricampionati ed assemblati in modo da sembrare sbuffi di vapore, o sobbalzi di un vagone) mentre la voce del cantante enumera, quasi come una guida turistica, tutto ciò che riesci a vedere in questo viaggio senza fine nel vecchio continente.
La traccia successiva, invece, intraprende il tema del viaggio interiore. I sintetizzatori, nella traccia precedente spensierati ed oserei dire quasi gioiosi, questa volta intrecciano trame molto più cupe , da chiaroscuro. Da atmosfera nichilista. Un’atmosfera perfetta per una “Hall of Mirrors” in cui anche la più grande star affronta le sue più innate paure.
“He fell in love with the image of himself
And suddenly the picture was distorted
Even the greatest stars dislike themselves in the looking glass
Even the greatest stars dislike themselves in the looking glass”
Come sapete , poi, non sono un amante delle recensioni dettagliate in ogni traccia. Rischierei di togliere il gusto della scoperta a chi si avventura, per la prima volta, con un nuovo genere od un nuovo album. Ogni scoperta, ogni ascolto è un qualcosa che deve essere il più personale possibile. Quindi non me ne vogliate se ora, a pie pari , decido di saltare alla title track (senza nulla togliere alla traccia precedente, Showroom Dummies dove , un gruppo di manichini da Salone della Moda, prendono vita ) una traccia che, già da quanto ho detto ad inizio recensione, ha caratterizzato una svolta nel mondo dell’elettronica e della musica moderna in generale. In questo caso la sensazione del viaggio è ancora più marcata e palpabile. Ralf Hütter e soci sono riusciti a donare alla traccia una dinamica crescente ma allo stesso tempo ciclica, le percussioni sembrano sbuffi di vapore ed il ritmo, sempre più incalzante, sembra quasi una locomotiva che inizia a prendere velocità per portarti chissà dove, in un viaggio in cui nemmeno tu sai quando e dove arriverai. Ma sai che, in fondo, sarebbe stato un peccato non partire.
Cosa potrei ancora aggiungere a quanto detto fino ad ora? Beh le parole non servono più ormai, non vi resta altro che ascoltare questo fantastico album e lasciarvi trasportare dalle sue atmosfere. Se non vi sarà piaciuto beh, pazienza. Vorrà dire che chiederete il rimborso del biglietto!
Il loro miglior album.