Prendete una ragazza nata nel 1943 in una cittadina industriale del Texas. Una famiglia semplice, padre operaio di raffineria e madre casalinga, valori e aspirazioni piccolo borghesi. Prendete un’educazione tradizionale e conservatrice, una rigida divisione di ruoli e una concezione della donna stereotipata, moglie e madre. Ora accostate a tutto ciò i fermenti di cambiamento sociale dei Sixties, l’amore per la musica, il richiamo quasi carnale del rock e del blues, una ragazza insoddisfatta che proprio non si cala in quel ruolo banale e privo di respiro che schemi sociali vecchi di millenni hanno costruito per lei. Tutto questo è rivoluzione, libertà, ritmo, cuore che batte all’impazzata, energia, amore nell’accezione più primordiale del termine come forza che crea e fonde tutto. Tutto questo è Janis Joplin.
Non doveva essere facile la vita per una ragazzina goffa e di certo non bella in una cittadina come Port Arthur. Quando sei la meno carina del liceo nessuno ti invita ad uscire e tutto attorno a te ti sta stretto. E deve essere stato forte e seduttivo il richiamo della musica rock per la giovane Janis che riesce ad evadere da quella che chiamerà “la prigione natale” proprio ascoltando le sue beniamine, Odetta, Leadbelly e Bessie Smith. Giovani talenti del firmamento musicale dell’epoca, modelli di vita e di successo che non si possono non bramare. E Janis partirà, abbandonando tutto e tutti, a soli 17 anni. Molla il college e la famiglia e se ne va in giro per la provincia americana, per amore della musica e di se stessa. Nel suo girovagare incontrerà partner ,di storie facili, e musicisti con cui si esibirà nei localetti più o meno malfamati. Ma la ragazzina è fragile e ancora non del tutto conscia della sua nuova scelta di vita e basta un momento di sconforto o una delusione amorosa per spingerla a ricercare il porto sicuro della sua cittadina natale.
Questi sono veri e propri anni di randagismo, fughe alternate a rientri in città, Janis si diploma con buoni voti e si iscrive anche all’università, ma il richiamo della strada e la perenne insoddisfazione la portano ogni volta a piantar tutto per tornare a suonare in oscuri club di provincia. Proprio in questi anni incontra Jorma Kaukonen (chitarrista e futuro membro dei Jefferson Airplane) ed insieme a lui si esibisce nei locali con un repertorio soprattutto folk e country.
Nel 1963 Janis Joplin si reca per la prima volta a San Francisco, dove entra in contatto con il mondo dei beat e la filosofia on the road. Questo è, forse, ciò che Janis va cercando, un “mondo delle idee” in cui non ha importanza l’apparire, un gruppo di persone per cui è fondamentale aver qualcosa da dire e dirlo più forte degli altri. Nel mondo perfetto delle idee, però, Janis incontra anche l’alcool e le droghe, che entrano a far parte della sua vita in modo prepotente e che la condizioneranno nelle sue scelte di donna e di artista. Nel 1966 si rifugia a Port Arthur, profondamente ferita da una promessa di matrimonio naufragata, e cerca di vivere così come ogni brava ragazza texana dovrebbe. E’ il periodo di una Janis tremendamente austera, sempre vestita di scuro, con i lunghi capelli raccolti in uno chignon antiquato, lo sguardo duro e privo di ogni scintilla di ribellione. Docile come un agnellino, trova un lavoro e trascorre il suo tempo libero ricamando e leggendo, con gioia dei suoi genitori che vedono la primogenita “finalmente rinsavita”. Ma questa non è la vera Janis, non durerà a lungo. Infatti l’idillio si rompe quando Chet Helms (un amico dei tempi in cui suonava per i club di Austin) le offre il ruolo di vocalist per una nuova band di San Francisco di cui lui è manager. L’astro nascente di Janis sta per esplodere nel firmamento musicale. Abbandonati i vestiti austeri parte per la California insieme a Chet e dopo un breve provino viene ingaggiata dalla “Big Brother and The Holding Co.”, una band di matrice blues con venature rock e psichedeliche. La miscela esplosiva creata dalla roca voce blues di Janis Joplin ed il sound innovativo della Big Brother ottiene subito un grande successo ed il gruppo ottiene il primo contratto discografico, la produzione di un album per la Mainstream Records. Il gruppo diventa subito popolare in tutta l’area di San Francisco e viene chiamato a partecipare al rock festival di Monterey nel 1967. Una performance trionfale, bissata due anni dopo da Janis Joplin, questa volta come solista, a Woodstock. Arriva dunque il loro album d’esordio, intitolato semplicemente con il loro nome, “Big Brother and the Holding Company”. Segue una serie di concerti in tutti gli Stati Uniti. L’esibizione di Janis Joplin a New York, in particolare, entusiasma la critica. Il successo la convince così a lasciare la band, per intraprendere la carriera solista, nel 1968, subito dopo la pubblicazione del secondo album, Cheap Thrills, impreziosito da una cover “acida” di “Summertime” di George Gershwin, resa memorabile dall’interpretazione straziante di Joplin.
Nel frattempo, la cantante texana era diventata uno dei simboli del rock al femminile, e, a dispetto di un fisico non proprio da top-model, perfino un sex-symbol. La sua sensualità selvaggia la rendeva infatti l’alter ego femminile di ciò che erano, in quegli anni, Jim Morrison o Mick Jagger. Lo confermava un articolo apparso su “The Village Voice”: “Pur non essendo bella secondo il senso comune, si può affermare che Janis è un sex symbol in una brutta confezione”. Il riscatto della ragazzina goffa che ora incarna un oggetto del desiderio. Il gruppo di musicisti con cui Janis intraprende la carriera di solista si chiamava “Kozmic Blues Band”. Con questa band realizza il suo primo album per la Columbia: “I Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama”. La sua vita era a una svolta. Stanca di storie sentimentali senza futuro, aveva trovato un uomo che finalmente amava. E dopo le critiche alle sue ultime performance, sembrava aver deciso di dare un taglio agli eccessi di un’esistenza inebriante ma illusoria. All’inizio del 1970, così, forma un nuovo gruppo, la “Full-Tilt Boogie Band”, con cui diede vita a un album-prodigio come “Pearl” (il soprannome con cui la chiamavano gli amici). Oltre a una versione di “Me and Bobby McGee” di Kris Kristofferson, il disco includeva hit come la trascinante “Get it while you can”, la struggente “Cry baby” e l’umoristica “Mercedes Benz”, composta da lei stessa. Lei è entusiasta, pensa di aver finalmente trovato il ritmo giusto della sua vita e si dedica con grande zelo ai nuovi brani, ma la tensione è troppo alta e lei troppo debole, così cade per l’ennesima volta nella trappola dell’eroina. Prima che l’album fosse pubblicato, prima di poter godere del successo che ne sarebbe conseguito, arriva quella tragica notte di Hollywood del 4 ottobre 1970. Forse quel “buco” doveva essere l’ultimo. Forse anche con l’eroina aveva deciso di farla finita. Ma quella notte spegne per sempre la sua voce. Una voce appassionata e straziante, che era insieme ruggine e miele, furore e tenerezza, malinconia blues e fuoco psichedelico. Un canto unico e inimitabile in tutta la storia del rock. “Era una musa inquietante – scrive il critico rock Riccardo Bertoncelli – una strega capace di incantare il pubblico, la sacerdotessa di un rock estremo senza distinzione tra fantasia scenica e realtà”. Una sacerdotessa che quando celebra il mistico rituale del concerto rock fa l’amore con il pubblico nella sua interezza. La musica rock come fusione totale e totalizzante. “..But I’m gonna show you, baby, that a woman can be tough. I want you to come on, come on, come on, come on and take it, Take it! Take another little piece of my heart now, baby! Oh, oh, break it! Break another little bit of my heart now, darling, yeah, yeah, yeah. Oh, oh, have a! Have another little piece of my heart now, baby, You know you got it if it makes you feel good, Oh, yes indeed.” In questo pezzo, “Piece of myheart”, il sintagma della sua vita. Il suo bisogno d’amore, le sue alterne fortune con gli uomini, la sua capacità di donarsi a dispetto delle delusioni e delle ferite, la grinta, gli eccessi, il coraggio di donare sempre un pezzo del suo cuore senza aver paura che venga infranto. Una donna forte e fuori dagli schemi che non teme gli uomini e che con fare quasi di sfida dice “ok baby prendi pure un altro pezzo del mio cuore e fallo in frantumi, se questo può farti star bene”. Una superba lezione di “femminismo” in un involucro musicale ruvido e tenero al contempo. Il “Girl Power” nella più fulgida delle sue vesti rock.
Sara Fabrizi