C’è un’immagine, ricorrente nella cinematografia e nell’immaginario collettivo, che suggerisce un preciso tipo di musica. La motocicletta da viaggio coast to coast, un’Harley Davidson preferibilmente, che percorre le larghe, quasi deserte strade del Texas e della California. Per i cultori del genere, un chiaro richiamo al film “Easy Rider”. E ci sono tutta una serie di gruppi “mitici” a dare suono al viaggio. Qualunque sia la meta e lo scopo i motociclisti saranno accompagnati da ottima musica. Crosby Stills Nash and Young, Jefferson Airplane, Eagles, The Band, alcuni dei nomi più noti di quel filone musicale che verrà battezzato West Coast Rock, o anche semplicemente West Coast. Nasce in California attorno ai primi anni Settanta, più precisamente si può individuarne le origini nella città di San Francisco all’inizio come musica di protesta sulla scia degli eventi legati alla Guerra del Vietnam per poi via via rilassare i toni verso uno stile nettamente più country o folk.
Quando dalla costa, dalle spiagge, ci si spinge nell’entroterra si incontra il rock dal sapore un po’ country di Crosby, Stills, Nash and Young. I componenti sono quattro fra i più apprezzati cantanti, autori e musicisti della scena rock degli ultimi quarant’anni: David Crosby (già chitarrista, autore e cantante dei Byrds), Stephen Stills (cantante e chitarrista dei Buffalo Springfield e, successivamente, dei Manassas), Graham Nash (autore, chitarrista e tastierista del gruppo inglese degli Hollies), Neil Young (autore e chitarrista dei Buffalo Springfield e, successivamente, del gruppo dei Crazy Horse; forse colui che ha avuto il maggiore successo anche come solista). La formazione base era inizialmente costituita dal trio Crosby, Stills& Nash: nel 1969 fu pubblicato il loro primo album il cui titolo era costituito semplicemente dai loro cognomi e che scalò rapidamente le classifiche di vendita. Solo successivamente ad essi si aggiunse Neil Young (in occasione del Festival di Woodstock). Furono tre gli album pubblicati a cavallo degli anni Sessanta e Settanta: Déjà vu; So Far (con l’immagine in copertina disegnata da Joni Mitchell); e il doppio live 4 Way Street che costituisce la summa del loro percorso artistico unitario. Un repertorio ampio e variegato, con pezzi che di volta in volta hanno dato risalto ad ogni singolo componente della band, valorizzandone le peculiarità. Nel 1970 con l’arrivo di Neil Young il “supergruppo” ( termine coniato quando i 4 nel 1969 salirono sul palco di Woodstock) è completo ed esce “Deja vu”, un album più maturo dei precedenti, più spontaneo e viscerale. I contributi dei quattro sono riconoscibili sin dalla prima nota di ogni canzone: Stills firma due brani dallo spirito opposto, “Carry on” con un testo di maniera ed un ritmo trascinante e “4+20” più intima, che descrive uno stato di solitudine che arriva al desiderio di annullamento ed autodistruzione. Neil Young scrive “Helpless”, una tipica canzone alla “Neil Young”, con tre semplici accordi, ma destinata a rimanere fra i classici del gruppo, e poi la più complessa “Country girl” che in alcune parti ricorda “Broken Arrow” scritta per i Buffalo Springfield. Graham Nash contribuisce con due canzoni semplici, ma anch’esse destinate a rimanere fra i classici del gruppo, si tratta di “Teach your children” sui conflitti generazionali fra genitori e figli e la mitica “Our house” dedicata all’allora compagna Joni Mitchell ed incentrata sulla serenità e sulla semplicità della vita familiare in una fattoria acquistata dai due nel periodo. Il buon David Crosby si cimenta, invece, riuscendo alla perfezione, nel brano che da il titolo all’album che da una punto di vista musicale presenta anche contaminazioni quasi jazzistiche, come dimostreranno le live perfomance degli anni successivi, e in “Almost cut my hair” che è una denuncia contro i benpensanti su quello che allora si pensasse fosse sinonimo di sporcizia morale, ossia i capelli lunghi. A questo punto però il gruppo comincia a mostrare le prime crepe: Stephen Stills e Neil Young non potevano più coesistere per il desiderio di ciascuno di primeggiare, così ognuno prende la propria strada al termine del tour. Seguiranno negli anni reunion parziali e totali dei 4 che, oltre a concerti fantastici, ma dal sapore inevitabilmente sempre più anacronistico, ci regaleranno pure numerosi altri brani. Senza tuttavia, ahimè, toccare le punte alte del loro momento d’oro che per una serie di contingenze storiche e sociali è e resta quello dei primi anni ’70. Un brano su tutti: “Our House”. I fermenti rivoluzionari dei giovani ribelli americani si sono appena, o forse momentaneamente, sedati. Quello che si sogna, adesso, è una famiglia propria, una casa in campagna da condividere con l’amore della propria vita. Qualche gatto nel cortile e serate passare a suonare e cantare…”listen to you play your love songs all night long, for me, only for me”. “Life used to be so hard, now everything is easy ‘cause of you..and us”. Piccolo capolavoro fra il country e l’intimista. Quando è una serena normalità la più grande rivoluzione.
sara fabrizi