Quando il rock sgorga dalle radici e dai miti della frontiera americana incontriamo The Band. Storico gruppo rock canadese, formatosi a Toronto nel 1967. 5 i componenti: Robbie Robertson (chitarra, pianoforte); Richard Manuel (organo, armonica, sassofono, batteria); Garth Hudson (tastiere, sintetizzatore, sassofono); Rick Danko (basso, violino) e Levon Helm (batteria, cordofoni e voce). Iniziarono a suonare insieme facendosi chiamare The Hawks e successivamente Levon And The Hawks; in questo periodo produssero un singolo intitolato Canadian Squires, per la Ware Records; la prima grande occasione, però, fu quando Bob Dylan li reclutò come propria band durante il suo tour del 1966 (documentato nell’album discografico The Bootleg Series Vol. 4: Bob Dylan Live 1966, The “Royal Albert Hall” Concert e nel film documentario Eat the Document). Dopo aver lavorato con Dylan, il gruppo si ritirò per la prima volta per incidere del materiale proprio, e da allora è iniziata la loro instancabile carriera costellata di successi. La Canadian Music Hall of Fame e la Rock and Roll Hall of Fame li hanno inclusi nella lista degli artisti storici; la rivista Rolling Stone li ha classificati in posizione numero 50 nella classifica delle band immortali.
Basterebbero queste poche, essenziali informazioni a rendere l’idea della grandezza del gruppo. Seconda metà degli anni ’60, rock radicato nel territorio, collaborazione con un mostro sacro quale Dylan. Gli elementi del successo ci sono tutti. Eppure l’essenza di The Band è molto di più di quanto possano dire i numeri e i riconoscimenti che testimoniano il loro successo. E’ emozione pura nella canzone “The Weight” : I pulled into Nazareth, was feelin’ about half past dead; I just need some place where I can lay my head. “Hey, mister, can you tell me where a man might find a bed?” He just grinned and shook my hand, “No!”, was all he said. “Take a load for free”. “The Weight”, edito anche a 45 giri, unico hit in carriera, poi inserito nella colonna sonora di “Easy Rider”. Qui basterebbe la musica: apertura di chitarra acustica, pochi inimitabili arpeggi e ingresso (“Ba-dum-badum-dum”) della batteria. Quindi il pianoforte e le voci. Nel mezzo splendidi cori a tre, fragili ed effimeri come un soffio di vento. E’ la parafrasi del sound: artigianale, immediata, costruita sul felice equilibrio di pochi ingredienti azzeccati. L’allucinazione dei testi è comica: gli incontri dell’eroe pellegrino a Nazareth in cerca di riposo e rifugio. Da notare la volontà del protagonista di assorbire senza interessi il dolore della gente, togliere il peso della vita dalle schiene stanche della società. La risposta ancora negativa, è tuttavia gestita con ironia e fatalismo.
The Band e’ rievocazione storica in “The night they drove old dixie down”. Un testo che narra del periodo finale della Guerra di Secessione americana e delle sofferenze degli Stati del Sud. Ma soprattutto The Band è potere evocativo in “I shall be released”: “I see my light come shining from the west down to the east any day now, any day now I shall be released”. Il commiato di “I Shall Be Released”, cantato da Manuel, riassume l’insanabile dicotomia debolezza/speranza, le distanze del cuore da colmare, il bisogno di dare e ricevere amore (simboleggiato nel brano dalla luce), la libertà come chimera da afferrare con un ultimo, titanico sforzo. Riesci a immaginarti quella notte di tanti anni fa: l’illuminazione fioca delle candele, la cantina polverosa, cinque tempestosi artisti con barba, cappelli e quel sorriso amaro capace di sgretolare la più dura delle rocce. “Any Day Now, Any Day Now, I Shall Be Released”… Pezzo fantastico, negli anni da molti reinterpretato, da ascoltare rigorosamente chiudendo gli occhi.
Sara Fabrizi