Avendo i Dream Theater eliminato ogni bisogno di recensire in senso stretto quest’album pubblicando tutto il necessario per la sua interpretazione su un apposito sito web, mi limito a commentare brevemente.
Gli ultimi lavori dei Dream Theater erano stati decisamente sotto le aspettative e hanno affossato il nome della band che già non navigava in buone acque.
Con questo album si sono di certo ripresi, riportando in auge quella forma di album che riporta a Metropolis (si parla del 1999). Raccontare cioè una storia, descrivere una ambientazione e lasciare un messaggio.
L’ambientazione è fantasy-futuristica e distopica, che non manca di certo di fantasia, partorita dal chitarrista John Petrucci.
La critica che ho già potuto più volte leggere è che si è voluta fare questa scelta perché Metropolis aveva funzionato e perché i DT sono “per nerd”. Non sono d’accordo, ma capisco che possa essere una considerazione non biasimabile.
In ogni caso, in forma del tutto personale, la critica che posso fare è legata alla storia: eroe, donzella, antagonista, colpo di scena, l’eroe vince, gli amati si sposano, tutti vissero felici e contenti.
Per me una storia fiabesca di questo tipo non ha alcun tipo di appeal. E questo sarebbe già sufficiente per cestinare l’album, se non fosse che il modo operistico di raccontare e qualche sporadica verve Rudessiana salvano l’ascolto complessivo. Ascolto che è impegnativo, per usare un eufemismo, e che è difficile se non impossibile consumare tutto d’un fiato.
Avevo sperato di più durante l’ascolto sugli inserti dei NOMACS, che mi avevano in qualche modo entusiasmato prefigurandomi un contrasto sonoro tra la musica del futuro ed il suono da opera scelto dall’album. Quegli inserti invece fanno da brevissimi interludi facendo solo assaggiare all’ascoltatore la specie di musica che gli abitanti di G.N.E.A. potevano ascoltare.
Il doppio CD tira dritto con la forma operistica, salvo qualche sprazzo di musica da XXI secolo nel secondo atto.
Ovviamente in tutto ciò di metal non ce n’è neanche a parlarne.
Per inciso: i più attenti sapranno che anche i Megadeth hanno da poco pubblicato un album chiamato Dystopia. E vi assicuro che ho tratto più interesse da 2 righe di un loro testo che da 2 ore di The Astonishing:
Demoralized and overmastered people think
The quickest way to end a war is lose
Dictatorship ends starting with tyrannicide
You must destroy the cancer at its root
Non potevo non lasciare un commento.
Premetto subito che sono praticamente 6 giorni che ascolto ininterrottamente questo disco.
All’inizio ero perplesso, ma dopo qualche ascolto il messaggio contenuto in 2 ore di musica ha iniziato a prendere forma e ormai il suo significato intrinseco si sta trasformando in emozioni sempre più definite.
Per quanto mi riguarda non ho problemi a collocarlo nella top 5 dei miei dischi preferiti dei Dream. L’ho trovato un disco intenso, molto
ispirato e in un certo senso taumaturgico.
Credo convintamente che con questo disco i dream Theater abbiano finalmente accettato la nuova fase della loro carriera musicale nella
quale sono entrati ormai da diversi anni, ma che a lungo si sono rifiutati di abbracciare, schiavi, ahimè, come molti loro fan, del loro
stesso mito.
Nei lavori prodotti negli ultimi anni hanno ricercato in modo maniacale quel sound di una vita passata, di una storia conclusa, per cercare di tenere vivo un mito che appartiene ormai alla leggenda del genere. Sarà frustrante per i Dream vedere paragonata ogni loro fatica musicale allo storico Metropolis pt 2, o ad Images and Words, o ad Awake. I loro fan, puntualmente, si aspettano una riproposizione di uno di questi dischi. E questo approccio ha reso schiavi loro e i loro fan.
Con The Astonishing, i dream tornano innanzi tutto a cantare un canto di libertà. Hanno abbandonato la ricerca spasmodica del sound progressive aggressivo, strumentale, forma musicale con la quale non riuscivano a comunicare più nulla.
Hanno accettato questo dato di fatto e hanno capito che per continuare a comunicare, devono saper ritrovare l’ispirazione di un tempo, rivolgendosi a forme compositive diverse, come hanno fatto. Hanno intrapreso così una strada diversa.
The Astonishing è un album molto melodico, teatrale, i pezzi strumentali sono pochissimi e si è volutamente lasciato spazio all’interpretazione vocale di Labrie.
Il risultato?
Un disco ispirato. Comunicativo. E comunicativo su diversi livelli. Espressivo. Io lo sto apprezzando perché mi sono spogliato del ruolo
del fan nostalgico. Ho abbracciato la libertà che loro hanno dimostrato, cercando di cogliere il senso del loro lavoro, dimenticando che sono gli autori dei più grandi dischi del prog metal moderno.
Non è un caso che Labrie abbia raggiunto, con questo disco, un livello di comunicatività, di ispirazione e di espressività forse unici
nella sua carriera. Avevano qualcosa da dire e hanno scelto il modo più congeniale a loro, in questa fase della loro carriera, per farlo, toccando in alcuni passaggi delle vette di epicità che vanno al dillà della banalità della trama, tema sul quale mi trovi d’accordo. Questa trama fin troppo lineare è raccontata però magistralmente. In modo molto intenso e sentito. Hanno interpretato egregiamente personaggi e passaggi musicali, rendendo il loro lavoro, a mio avviso, più che godibile.
Epico l’incontro dell’imperatore con il capo e l’eroe della rivolta nella piazza di Ravenskill. Hanno creato un’atmosfera molto suggestiva, i pezzi che raccontano l’evento (perché sono più di uno e questo è geniale) riescono a comunicare perfettamente lo stato d’animo e le auree dei diversi personaggi, nonostante siano interpretati tutti in prima persona da Labrie.
Ripeto, per raggiungere questo livello d’ispirazione e di capacità comunicativa hanno scelto lo stile musicale che in questo momento è a loro più congeniale e sinceramente non vedevo l’ora che si scrollassero di dosso i fantasmi del passato.
Inoltre ho apprezzato molto l’idea di creare un concept album di questa portata. Ormai viviamo nell’era di Spotify, si sta perdendo la cultura del ‘disco’ in quanto tale e si è sempre più invogliati a cliccare ed ascoltare singole canzoni estrapolate.
Questo album va contro tendenza, è un’opera monolitica che va letta e vissuta nella sua interezza.
Sono d’accordo sul fatto che avrebbero potuto osare di più sui pezzi dei NOMACS, avrebbero potuto inasprire maggiormente il confronto tra i due stili musicali, Impero e Ribellione.
Non credo sia un disco che i puristi del Progressive metal apprezzeranno, ma spogliandosi di un po’ di vincoli e preconcetti, credo che più di qualcuno potrà apprezzarlo.