Eccomi con un altro disco al primo ascolto; parliamo dei “The Dead Weather”, mai sentiti nominare da me fino a questo momento, ma con componenti di tutto rispetto: la band è composta dalla cantante Alison Mosshart (The Kills), dal bassista Jack Lawrence (Raconteurs,The Greenhornes, City and Colour), dal chitarrista Dean Fertita (Queens of the Stone Age) e dal cantante/chitarrista/batterista Jack White (White Stripes, The Racounters) – wikipedia.
Insomma non si tratta di completi sconosciuti nel mondo della musica, mentre io lo sono e mi appresto a buttare giù due righe mentre scorre questo album del 2010.
Blue Blood Blues è un blues molto particolare, con continui rimandi a sonorità stile Rage Against The Machine riscontrabili nel modo di cantare particolare di Jack White. Si prosegue con Hustle And Cuss, funky dark e con un inizio che mi rimanda nuovamente ai RATM; ammetto che mi sono lasciato trascinare dal ritmo e ho iniziato a muovere il piede per tutto il tempo.
The Difference Between Us ci introduce un sound più elettronico ma sempre orecchiabile e con Alison Mosshart come prima cantante.
I’m mad mi ha colpito per il suo modo interessante di entrarti nella testa e di lasciarti l’idea di pazzia, con il ripetersi della risata mista a chitarra e della frase “I’m mad”. Improvvisamente diventa un pezzo più normale con l’intervento della ragazza, ma parlare di normalità all’interno di un album così particolare è davvero ridicolo.
Die By The Drop ci presenta un botta e risposta tra le due voci, anche se non sono riuscito a distinguere se siano entrambe di Jack White o se ci sia l’intervento di Alison Mosshart, in quanto sono talmente modificate e semi-femminili entrambe che non l’ho capito nemmeno riascoltandola due volte.
In I Can’t Hear You il basso la fa da padrone, accompagnando il sussurro metallico della voce, in un blues interessante. Gasoline si riconferma quasi una camminata in un mondo dark e psichedelico prima di un pezzo abbastanza classico rispetto ai precedenti, No Horse.
Looking At The Invisible Man si ricollega allo stile già indicato dei RATM, niente di nuovo ma fa sempre piacere vedere che non si tratta di sonorità morte.
Jawbreaker mi ha dato l’idea di un allarme che suona e accompagna la parte elettronica e la voce per tutto il tempo, quasi come se si trattasse di una fuga. So che non ha niente a che fare con il testo, ma la musica mi ha trasmesso questo ad un primo ascolto e lo riporto fedelmente.
Si chiude con Old Mary, pezzo preoccupante, quasi inquietante e psichedelico che molto probabilmente vorrò risentire più e più volte per la sua originalità.
Non ho niente da aggiungere a queste poche righe, si tratta di un album che mi è piaciuto in modo particolare, molto strano, fuori dagli schemi ed interessante. Seguirò sicuramente i loro lavori futuri ed intanto corro a procurarmi il loro album successivo, Dodge and Burn.
Buon ascolto!