Autore: Creedence Clearwater Revival
Titolo Album: Mardi Gras
Anno: 1972
Casa Discografica: Fantasy Records
Genere musicale: rock
Voto: 6
Tipo: LP
Sito web: http://www.creedence-online.net/
Membri band:
John Fogerty – chitarra, tastiere, voce
Doug Clifford – batteria, voce
Stu Cook – basso, chitarra, voce
Tracklist:
1. Lookin’ For A Reason
2. Take It Like A Friend
3. Need Someone To Hold
4. Tearin’ Up The Country
5. Someday Never Comes
6. What Are You Gonna Do?
7. Sail Away
8. Hello Mary Lou
9. Door To Door
10. Sweet Hitch-Hiker
Mardi Gras è il settimo ed ultimo album dei CCR. Subito dopo si sciolsero, mettendo fine a una stagione intensissima e fulminante in cui dettarono le regole base della grammatica del rock. L’essenzialità di chitarra-basso-batteria, con doverose concezioni al sax e alle tastiere, che pesca nel passato del folk, del country, del blues, dello swamp-rock, del rock’n’roll e li frulla insieme sotto l’egida del carisma e voce graffiante del leader John, inventando di fatto il rock americano. Quello degli anni ’70. Per tutti e per i cultori. Commerciale e raffinato. Semplice e colto. Che scala le classifiche, che mette d’accordo pubblico e critica. Che offre un fertile humus per i futuri rock singer e songwriter. Eppure questo sogno fatto di scelte sempre azzeccatissime e vincenti volgeva al termine. Dopo il fantasmagorico Pendulum, summa e canto del cigno, nonché celebrazione della versatilità del frontman della band, malumori interni e stallo creativo decreteranno lo spegnersi del sacro fuoco del rock’n’roll nei 4 ragazzi di El Cerrito. Il maggiore dei Fogerty, Tom, da sempre in dissidio con il fratello John che di fatto lo oscurava, lascia i CCR e tenta la via della carriera solista. Eppure ciò che resta della band, John, Stu e Doug, decidono di rimboccarsi le maniche e sfornare un ultimo album. Questa volta la supremazia fogerthiana nel songwriting è meno tangibile. Per la prima volta Stu e Doug affiancano John nella scrittura, composizione e produzione del disco. E per la prima volta la lead voice non è sempre John, anche bassista e batterista si cimentano nella prova vocale. Sarà che siamo così abituati ad identificare i CCR con il marchio vocale inconfondibile di John che ascoltare dei pezzi la cui voce principale non è la sua ci fa strano. Ci disorienta. Ci fa capire che qualcosa è cambiato, per sempre finito. Lodevole il fatto che in questo ultimo album ci sia un maggiore gioco di squadra. E chissà da quanto Stu e Doug sognavano una cosa del genere, per lungo tempo eclissati dall’astro fulgido di John, pur costituendo di fatto la sezione ritmica e quindi il groove della band. Mardi Gras è un disco da questo punto di vista più “democratico” ma, mi duole ammetterlo, è l’unico “sbagliato”. Irriconoscibile, privo di quel sound inconfondibile e sempre nuovo e vario che tanto ci ha fatto amare i Creedence. E’ un disco di una semplicità formale e tematica disarmante. Sebbene si cimentino nella composizione anche gli altri due, guarda caso i numeri migliori (o perlomeno che si elevano dalla mediocrità dell’album) sono quelli di John. Sweet Hitch-Hiker e Someday Never Comes, entrambe di paternità foghertiana, sono gli unici 2 barlumi di luce. La prima è l’ultimo grande rock’n’roll firmato Creedence che raggiunge anche buone posizioni in classifica. La seconda è la ballad dell’album: dura, bella, commovente. Cantata con un tono tra l’implorante e l’energico, ultima grande prova vocale di John. Vorrei che Mardi Gras fosse ricordato per questo pezzo, vorrei che vi si identificasse. Perché è l’ultimo guizzo di quella vena struggente, romantica e cosmica di John che mi ha stregata fin da Put A Spell On You, dal primo pezzo del primo album. I restanti pezzi a mio parere non sono degni di nota, fatta eccezione per il lodevole maggiore sforzo partecipativo degli altri 2 membri della band. Anche l’operazione cover, che da sempre li aveva visti rimaneggiare classici roots e blues donando loro nuova vita sotto forma di pezzi assolutamente vincenti, qui fallisce. La cover di Hello Mary Lou di Gene Pitney è priva di quella verve tipica del revival targato CCR. Assistiamo in questo ultimo album a un tentativo forzoso di rimaneggiare il sound Creedence, ma ciò che ne viene fuori non sa di buono, bensì di stanchezza. Poco dopo un tour per tentare di (auto?) celebrarsi e quindi lo scioglimento e la carriera solista di John, che altro non sarà poi che un attingere a piene mani al vasto repertorio CCR. Facile che ciò accada quando una band si accentra e identifica a tal punto con il frontman/leader. Eppure ai Creedence possiamo e dobbiamo perdonare sia il protagonismo a tratti eccessivo di John, sia questo ultimo deludente album. Il loro merito, aver inventato l’abc del rock americano, è talmente grande da far sicuramente dimenticare una piccola defaillance.
Sara Fabrizi