[RevieWaste] Mouth Of The Architect – Dawning

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È l’alba.

Vengono alla mente tanti pensieri: How Will This End, The Other Son.

Si guarda il panorama e lo si analizza: Sharpen Your Eyes, Patterns .

Si hanno sensazioni: It Swarms.

Godiamocela.

 

 

 

 

 

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[RevieWaste] OvO – Abisso

ovo-abissoSfogliando una rivista musicale in edicola ho notato un riquadro in un angolo con una ragazza che aveva dei dread che arrivavano alle caviglie e con una faccia che sembrava volesse mozzicare il microfono. Il nome della band era OvO. Come una faccina con un becco. Una volta associato il nome ad una copertina di un album ho realizzato che l’avevo già visto da qualche parte tra i miei ascolti consigliati.

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[RevieWaste] Protest The Hero – Volition

Si, sono dei condor cyborg che stuprano una donna in una città buia.

 

Conoscevo già i Protest The Hero, li ascoltai per la prima volta nel 2011 con Scurrilous, e quando ho visto la copertina del loro ultimo album, nei negozi il 29 Ottobre, mi sono detto che sarebbe stato il caso di ascoltarli ancora. L’artwork è del pittore surrealista americano Jeff Jordan, che aveva già prodotto cover per altre band e che mi ha splendidamente convinto dopo pochi secondi.

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[RevieWaste] Chelsea Wolfe – Pain Is Beauty

Chelsea Wolfe è una cantautrice californiana, inseribile nel panorama folk (mi è passato in testa anche neofolk ma quello lo lasciamo al suo posto).

E poi diciamocelo, oltre a essere brava è pure una  fig   donna di notevole fascino.

Quel folk però è un folk come sono folk gli Agalloch. Non è country, non è tradizionale (anzi), ma lo senti che lo è.

Si è fatta notare con Apokalypsis nel 2011, album senza precedenti, fatto di doom, graffi e angeliche carezze post-apocalittiche.

Questo nuovo album è sotto una luce diversa però , più depressa e indecisa. È forte il tema dell’isolamento e qualche misantropismo. Il titolo stesso è un capovolgimento del paradigma femminile di “Beauty is Pain” che poi da noi è chi bella vuole apparire, un poco deve soffrire.

Alcune tracce (più evidentemente Kings e House of Metal) palesano dei synth, assenti negli album precedenti, a cui si aggiungono sperimentazioni sinfoniche (o armonico-melodiche) come in The Waves Have Come, con una componente strumentale più presente.

Gli accordi acustici in Lone e They’ll Clap When You’re Gone sono nella più perfetta tradizione dark-folk, come ad esempio in (mi viene in mente) The Mantle dei sopracitati Agalloch.

Chelsea Wolfe viene da un album chiamato Unknown Rooms: A Collection of Acoustic Songs dove ha potuto affinare la sua predisposizione all’acustico che non ci ha fatto pesare troppo ancora in questo nuovo album.

Nel complesso si può dire che Chelsea Wolfe ha prodotto ancora un album profondo e sentito, ma reso stavolta più ascoltabile da quel pubblico a cui non piace la musica coi canini di fuori.

 

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(streaming non completo)

[RevieWaste] 65daysofstatic – Wild Light

Quindi il post-rock sta prendendo questa strada.

È quello che ho pensato dopo pochi minuti di ascolto di Wild Light, l’ultimo album degli affermati 65daysofstatic, formazione di Sheffield che già dal 2004/2005 si è fatto un nome nel panorama post-rock, e l’ha affermato nel 2007 con The Destruction of Small Ideas.

Ho pensato questa cosa perché ho già ascoltato Origins dei God is Astronaut (ci starebbe bene un’altra recensione per quest’altro). L’ho pensato anche perché ho ascoltato A Healthy Fear dei Gifts From Enola. L’ho pensato anche perché ho ascoltato All Hail Bright Futures degli And So I Watch You From Afar, o Kveikur dei Sigur Rós (ci starebbe bene un’altra recensione un po’ per tutti questi).

Non voglio mettere tutto dentro un calderone eh. Solo che non si può non vedere quanto ci abbiano preso la manina a usare effettini e synthini un po’ dappertutto. Gli è piaciuto come poteva venire mettendoci un po’ più di salsa electronica.

Ma pensiamo un’album alla volta. Wild Light non è male. È piacevole da ascoltare, è distensivo, è abbastanza post-rock. Il gruppo ha da sempre avuto sperimentazioni elettroniche, forse è stato il primo gruppo ad affermarle con decisione, prima con The Fall of Math e negli ultimi tempi con l’EP The Coach Road Sessions e poi con il full-lenght The Last Dance hanno inserito pezzi decisamente impostati alla maniera electro (tipo Dance Dance | Piano Fight ) intervallati da pezzi tradizionalmente post-rock (tipo Burial Scene). Se c’era un gruppo che si poteva permettere di fare questa cosa senza sorprese, erano loro.

In questo nuovo album la fusione però è stata più completa, la distanza meno netta; il risultato piacevole.

Nelle tracce come Blackspots e Sleepwalk City sembra di ascoltare i God is an Astronaut per gli effetti dati agli strumenti, rinunciando un po’ ai pezzi di piano e all’electro stile IDM come in The Destruction of Small Ideas e The Fall of Math. In altre tracce, come in quella d’apertura di questo nuovo album, o Prisms, ti pare di stare ascoltando i Justice o Apparat.

In ogni caso queste influenze sono più che buone, e il risultato di questa fusione mi è complessivamente sembrato più coerente, direi omologato. Questo a me però.

Posso già sentire un purista in lontananza dire “Gli Explosions In The Sky e i Godspeed You! Black Emperor, quello è post-rock, non st’ibrido demmerda”.

Ma si sa, i puristi sono perennemente insoddisfatti.

 

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