Il primo impatto è la cover ispirata ai programmi per pc degli anni ’80, evocati anche dalla traccia intro chiamata affinity.exe. Eseguibile che, una volta avviato, incanta da subito.
Giorgieness – Noianess EP (2013)
Rieccomi ancora una volta con una recensione di un gruppo Indie ma con una grossa differenza: non stiamo parlando di Inghilterra, nemmeno di Australia o di Stati Uniti; stiamo parlando di un gruppo italiano.
Il 9 aprile io ed il collega Manuel, a Milano per lavoro, andiamo all’International Radio Festival; tra le varie conferenze e spettacoli ci fermiamo ad ascoltare un’intervista a Giorgia D’Eraclea, interessante anche perchè intermezzata da suoi pezzi in acustico. Decido dunque di cercare qualcosa che riguardi il gruppo ed arrivo a questo EP, rimanendo -spoiler- piacevolmente colpito.
Per quanto riguarda l’artista cito (e linko) la pagina facebook della stessa: Giorgieness è il progetto della cantante e chitarrista Giorgia D’Eraclea, accompagnata dal polistrumentista Andrea De Poi.
Nato nel 2011, riscuote da subito un grande interesse, che la porta a condividere il palco con alcuni importanti artisti del panorama indipendente italiano, come Tre Allegri Ragazzi Morti, Morgan, Il Pan Del Diavolo, Fast Animals & Slow Kids e Paletti. Del 2013 l’EP d’esordio Noianess, prodotto da Luigi Galmozzi ed Andrea Maglia (Manetti!, Tre Allegri Ragazzi Morti). Con il 2014 Giorgia comincia a lavorare sul nuovo materiale, continuando ad affiancarvi un’attività live in costante crescita.
Formazione live :
Giorgia D’Eraclea : chitarra/voce
Andrea De Poi : basso
Davide Lasala : chitarra
Lou Capozzi : batteria
Cominciamo allora a dire qualcosina sull’album.
Si compone di quattro tracce, per un totale di dodici minuti. Il tema principale che viene affrontato è l’amore, in alcune delle sue sfaccettature.
Sai parlare ci fa sentire parti rabbiose, portate in alto dalla voce interessante di Giorgia e momenti in cui si rallenta per provocare una netta contrapposizione con l’attacco forte che ci porta alla chiusura. La parte “che cosa è successo alle tue prime scarpe? Le consumavi per farti più forte” mi ha ricordato “io le sporcavo per sembrare un pò più interessante”, frase dei Ministri in Vestirsi male sempre riferita alle scarpe. Chi segue questo blog sa quanto io ami i Ministri, quindi non posso far altro che apprezzare.
Magari sta sera ci descrive una ragazza nella tipica indecisione sul chiamare o meno un ragazzo della quale sembra innamorata nonostante i suoi tentativi di autoconvincersi del contrario. Il ritmo rimane costante e durante il ritornello esplode tutta la rabbia nei pensieri della donna che però si calma nel momento in cui ricomincia a pensare alle scuse da usare per contattare l’uomo. Una frase che mi ha fatto sorridere è “Magari stasera ti chiamo, è il compleanno di Björk”; bella scusa per contattare qualcuno in effetti!
Lampadari sembra basata sui ricordi di un amore combattuto. “Toccherà a te guardarmi dal basso e ai miei occhi, trovarti fra le luci. Dovrai volermi con tutte le smagliature del caso, e con il tempo che giocherà a rovinarmi.” viene praticamente urlato dalla cantante, che riesce a rendere perfettamente ciò che voleva trasmettere.
Brividi/Lividi mi ha colpito fin da subito, con il basso in grado di scandire e accompagnare le parole di Giorgia. Molto interessante l’alternarsi delle frasi quasi sussurrate e i momenti in cui strumenti e voce esplodono; il tempo cambia improvvisamente intorno al minuto e mezzo, quasi per preparare l’ascoltatore ad un finale in crescendo. Bellissima la parte successiva, con le note cantate e la chitarra ben scandite, fino al “guàrdami guardàmi guàrdami guardàmi” che riesce a mantenere perfettamente il ritmo.
Nel complesso consiglio quest’album, come anche questo gruppo. Appena possibile cercherò di recensire anche la loro ultima opera, che in realtà ho già ascoltato su Spotify – molto interessanti le nuove versioni di Brividi/Lividi e Parlami, ne riparleremo in futuro – ma nel frattempo vi invito a supportarli e a seguirli.
Buon ascolto, alla prossima!
Matthew Collings – A Requiem For Edward Snowden (2016)
Edward Snowden non è morto, ma questo compositore contemporaneo ha voluto dedicargli un album come se lo fosse. Come per dire “risplenda ad esso la luce perpetua”.
Continua a leggere Matthew Collings – A Requiem For Edward Snowden (2016)
Limbo di Alessandro Di Traglia
Autore: Alessandro Di Traglia
Titolo Album: Limbo
Anno: 2016
Casa Discografica: autoproduzione
Genere musicale: rock
Tipo: CD
Sito web: http://tinyurl.com/adtyoutube
Membri band:
Alessandro Di Traglia – voce
Peter Cornacchia – chitarre elettriche e acustiche, mandolino, basso, cori, voce ne L’Amore Vincerà Di Nuovo
Ivo Di Traglia – batteria
Marco Lucci – piano, tastiere, hammond, rhodes
Marco Capitanio – hammond su Niente Da perdere
Paolo Cornacchia, Fabrizio Migliorelli, Cinzia Turchetta – cori
Tracklist:
1. Guardati Intorno
2. Limbo
3. Oggi No
4. Tu Lascia Piovere
5. Fragile
6. Niente Da Perdere
7. Prigradica
8. L’Amore Vincerà di Nuovo
9. Tu Sei Qui
Limbo è il primo album del cantautore pontecorvese Alessandro Di Traglia. Un disco rock, sano rock italiano. Melodico a tratti. Più potente, azzarderei quasi hard rock, in alcuni pezzi. Influenze musicali e sensibilità personali si sono amalgamate a creare 9 brani interessanti, mai scontati sia nei testi che nelle soluzioni musicali adottate. Se all’ascolto è chiaro l’eco di rock band 90s quali Afterhours, Timoria, Negrita, è anche deducibile un altro set di influenze che pur rimanendo più sullo sfondo ha comunque avuto un suo peso nel processo creativo dell’artista. Come mi rivela il cantautore stesso la sua primissima educazione musicale ha avuto un piglio decisamente metal: Black Sabbath, Iron Maiden, Stratovarius. E poi il grunge dei Nirvana, quasi inevitabile per ogni aspirante rocker che muove i suoi primi passi negli anni ’90. Una formazione musicale che lo ha nutrito ma che poi lo ha portato a scelte stilistiche e creative abbastanza distanti dall’heavy rock ascoltato nell’adolescenza. Limbo infatti è più inquadrabile nel rock melodico che in quello duro e pesante. Soprattutto per le tematiche introspettive ed intimiste affrontate nei pezzi, meglio veicolate da un rock classico e misurato che da ritmi martellanti e duri. Anche se, come accennavo prima, ci sono dei guizzi più hard in alcuni pezzi che non dispiacciono affatto ma conferiscono verve e un po’ di varietà stilistica andando a scongiurare il pericolo di un album altrimenti troppo monocorde. Di sicuro è stato fondamentale ai fini di questo risultato l’apporto dei musicisti che supportano il cantautore, molti dei quali hanno anche avuto un peso determinante nella fase compositiva e di realizzazione dell’album. In particolare il chitarrista Peter Cornacchia, che è anche produttore dell’album e autore del brano Prigradica, e il batterista Ivo Di Traglia.
Brano di apertura dell’album è Guardati Intorno. Pezzo veloce, ritmato, anche un po’ arrabbiato. Un brano che è un invito ad aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda. Una realtà dura, spesso ostile, nella quale è difficile trovare una propria collocazione. Un’esortazione a trovare la propria identità, la propria strada, senza però farsi illusioni sulle persone e sul mondo che è fuori. Il secondo brano è Limbo, da cui il titolo dell’album. Una ballad un po’ amara. Un intro di chitarra dolce che dissolve nei cori e poi una chitarra più energica. Si va avanti così per l’intero pezzo. In un’alternanza fra il malinconico e l’arrabbiato. Echi di Afterhours hanno di sicuro ispirato l’artista. La melodia veicola un testo che parla di una crisi di identità, del limbo in cui ci si ritrova a vivere perché non si riconosce più se stessi. Una rock ballad molto sincera e fortemente sentita. Non deve essere un caso che la canzone abbia dato il titolo all’intero album. Il terzo pezzo, decisamente più rock, è Oggi No. Si parla di incertezze, di mancanza di punti saldi, della difficoltà e quasi del rifiuto ad accettare e a vivere la vita per quello che è. Una punta di nichilismo che però non sfocia nella rassegnazione. L’energica veste rock, hard rock, del pezzo conferisce al brano un qualcosa di propositivo a mio parere. Quindi si passa al quarto brano, Tu Lascia Piovere. Io lo vedo come quasi una sorta di evoluzione rispetto al brano precedente. Il nichilismo diventa presa di coscienza delle proprie capacità di reagire, della propria energia vitale. Una prorompente positività e forza nell’affrontare la vita, nel trovare le risposte. E tutto ciò non poteva che essere reso da un rock incalzante. Il quinto brano è Fragile. Ancora una ballad, un altro brano fortemente intimista. Sonorità delicate e malinconiche. Un lungo intro di chitarra acustica e mandolino. Un testo che è una candida ammissione di fragilità. Un appello, probabilmente rivolto alla persona amata, a non andarsene via. Il sesto brano è Niente Da Perdere. Una brano decisamente rockettaro e veloce. Aprono in modo piuttosto heavy batteria e chitarra elettrica. Un testo pieno di energia e di determinazione. Un appello ad andare per la propria strada, a credere solo in se stessi, ad andare fino in fondo perché non si ha niente da perdere. Il settimo brano è Prigradica. Brano interamente strumentale. Essenzialmente dolce. Cori che si alternano a chitarre delicate. Molto evocativo e rilassante. Funziona molto bene come introduzione al pezzo seguente a cui si lega in una sorta di continuum. Prigradica dissolve in L’Amore Vincerà Di Nuovo. Qui siamo di fronte a una cover, trattandosi di un pezzo della prog band Osanna. Bella la scelta di mettere una cover, interessante l’aver scelto proprio questo pezzo. Sia per la tematica del testo che parla di rinascita, di rivincita dell’amore sulla morte, e lo fa con i toni epici tipici di molte ballad prog. Sia per le musiche, dove melodie dolci sfumano in ritmi più rock e decisi. Quindi in perfetta coerenza con quello che secondo me è un po’ il filo rosso dell’intero album: l’alternanza fra delicato ed energico, fra tenue e rock, tra malinconico e fortemente propositivo. La cover conferisce respiro all’album, una sorta di divagazione che però non si pone in contrasto con il resto ma anzi ne rafforza il senso e l’unitarietà. A chiudere l’album è Tu Sei Qui. Di nuovo un brano intimista e malinconico. Testo evocativo che allude al desiderio di fuggire dalla vita che si ha, di liberarsi dal peso di una gabbia, di ritrovare la propria essenza più profonda. Un pezzo che invita alla riflessione e all’introspezione. Un finale intimamente rock. Come l’intero album.
Sara Fabrizi
Sincope Night – Rotorvator + Wound @ La Cantina Mediterraneo (Frosinone, 25/3/16)
L’etichetta Sincope era sott’occhio da un po’, e quando ho scoperto una loro exhib a Frosinone non ho esitato ad avviarmi per una esperienza live sicuramente particolare. E così è stato.
Introduce Wound, progetto solista di Massimo “truculentboy” Onza, membro del duo drone Compoundead e del progetto punkcore Tronco nonché curatore della stessa label Sincope dal 2010.
Un massaggio di pressione acustica. Da multieffetto e mixer è uscito rumore modulato dall’immaginazione, onde sonore sintetizzate, distrutte, scomposte e risintetizzate ti arrivavano in faccia. Suoni cupi e disarmonia riempivano la stanza di aria rarefatta. Se volete avvicinarvi alla vera potenza del suono, avvicinatevi al noise.
Seguono i Rotorvator che, come il precedente nome evocava le sperimentazioni di Nurse With Wound, citano un importante e bellissimo album dei Coil, Horse Rotorvator.
La band si presenta in duo, setup elettronico, chitarra e voce. La chitarra elettrica è usata in maniera non convenzionale, come strumento di produzione di un suono continuo, inarticolato, di sfondo e accompagnamento alla base elettronica. Il sound è di predominanza industrial, con aggiunte di abbondanti colpi di basso e suoni graffianti come un macigno di pietra trascinato a terra. La voce in growl e scream mi ha fatto pensare ai meno ricercati ma più conosciuti Psyclon Nine e a qualche sperimentazione di black metal. L’ambientazione è sicuramente industrial noise e lo spettacolo è votato alla violenza del suono e al decadimento nichilista di ogni salvezza.
Una produzione sicuramente speciale, che non richiede altro che disposizione.
Esperienza d’ascolto rarissima, almeno in queste zone, che ha creato un centro di magnetismo in un piccolo music club a cui pochi danno la giusta importanza.
Polyphia – Renaissance (2016)
Questo album è stato pubblicato nei primi mesi del 2016 e già è un ottimo candidato per la top 10 di quest’anno.
I Polyphia sono al loro secondo album in studio e hanno fatto già con Muse nel 2014 un metal strumentale con i tratti di quel progressive contemporaneo “new wave”: molto tecnico e dai suoni morbidi. Già prima erano stati notati dal loro EP Inspire e subito inseriti nella cerchia del nuovo progressive americano con Periphery, Between the Buried and Me, Animals as Leaders etc.
Con Renaissance hanno continuato sulla stessa linea, dando senso a questo titolo: il suono è insieme classico, armonico e moderno, innovativo.
L’ascolto è luminoso, instilla positività con linee melodiche indimenticabili (Light, Nightmare, Amour) e qualche intro elettronica a spezzare il tripudio di chitarre.
La band di Dallas, Texas, essendo prettamente strumentale studia bene i suoi suoni e si inserisce in modo esemplare nel panorama del rock/metal “di nuova generazione”.
Una fruizione profonda delle composizioni lascia ipnotizzati nel seguire con l’orecchio ciò che esce da soli 3 strumenti.
Lo spettacolo moderno del metal strumentale.
Khan – Ecstasy (2016)
Oggi butto giù due righe su un gruppo appena trovato su Bandcamp. Come al solito si tratta di una minirecensione al primo ascolto.
Chi sono i Khan? Si tratta di un gruppo di Melbourne, Josh Bills – cantante/chitarra, Mitchell Kerr – basso/seconda voce e Beau Heffernan – batteria. L’album in questione, Ecstasy, si compone di 6 tracce ed è uscito in concomitanza con Enstasy, sempre di 6 tracce.
Partiamo dunque con i brani. Continua a leggere Khan – Ecstasy (2016)
Nuclear Blast Showdown Spring 2016
Come ho fatto anche con il campionario Relapse nel 2015, voglio fare una track-by-track del campionario primaverile dell’etichetta dedicata al metal Nuclear Blast. L’etichetta di origine tedesca non ha di certo bisogno di presentazioni essendo su album di Slayer, Children Of Bodom e Nightwish.
Ma iniziamo questa breve rassegna del loro campionario più recente: Continua a leggere Nuclear Blast Showdown Spring 2016
The Dead Weather – Sea Of Cowards (2010)
Eccomi con un altro disco al primo ascolto; parliamo dei “The Dead Weather”, mai sentiti nominare da me fino a questo momento, ma con componenti di tutto rispetto: la band è composta dalla cantante Alison Mosshart (The Kills), dal bassista Jack Lawrence (Raconteurs,The Greenhornes, City and Colour), dal chitarrista Dean Fertita (Queens of the Stone Age) e dal cantante/chitarrista/batterista Jack White (White Stripes, The Racounters) – wikipedia.
Insomma non si tratta di completi sconosciuti nel mondo della musica, mentre io lo sono e mi appresto a buttare giù due righe mentre scorre questo album del 2010.
Blue Blood Blues è un blues molto particolare, con continui rimandi a sonorità stile Rage Against The Machine riscontrabili nel modo di cantare particolare di Jack White. Si prosegue con Hustle And Cuss, funky dark e con un inizio che mi rimanda nuovamente ai RATM; ammetto che mi sono lasciato trascinare dal ritmo e ho iniziato a muovere il piede per tutto il tempo. Continua a leggere The Dead Weather – Sea Of Cowards (2010)
Jack Thunder Band – What The Thunder Said
Metti quattro ragazzi che nella provincia al confine fra Lombardia e Piemonte, nel 2015, decidono di trasportarci in centro America. E lo fanno scrivendo, suonando ed autoproducendo un album dal titolo eloquente, What The Thunder Said. Più che un viaggio, una vera e propria telecinesi che annulla in un attimo le distanze spaziali ma anche quelle temporali. Non solo veniamo catapultati fra montagne rocciose e mitici rivers, ci ritroviamo anche in una dimensione quasi a-temporale. Echi decisi di anni ’70 o di decenni ed epoche ancora precedenti, comunque di tempi in cui l’aspetto geografico e morfologico degli States è divenuto prepotente metafora della condizione e della psicologia umana. E la musica d’oltreoceano, dalla tradizione popolare americana fino al cantautorato recente, ha sempre indagato e cantato i legami fra natura ed uomo. Insolito e soprendente che sia una band italiana di recente formazione a cimentarsi in un questo ambito. Forse a testimonianza che alcuni miti e universi di significati trascendono davvero le barriere spazio-temporali. E forse proprio il legame con il territorio, l’osservare la natura selvaggia delle valli del Piemonte orientale e del fiume Ticino avrà condotto i quattro musicisti sulle sponde del Colorado River. E li avrà invogliati a scrivere e cantare storie che ruotano attorno al tema del river e della sua simbologia. Quasi come fossimo dentro un fumetto di Tex Willer. E proprio da uno dei personaggi apparsi in Tex la band mutua il suo nome: Jack Thunder Band. Continua a leggere Jack Thunder Band – What The Thunder Said