Townes Van Zandt: il country dell’anima

Non è di certo semplice prendere uno dei pezzi più belli dei Rolling Stones, “Dead Flowers”, e migliorarlo, renderlo perfetto. Trasformare una ballad calda e avvolgente in un pezzo country morbido e deciso. Stemperare la base grezza e cruda del country rendendola amabile, ed indimenticabile. Ci è riuscito Townes Van Zandt.

Un cantautore americano nato nel ’44, morto nel ’97. Ha avuto tutto il tempo di lasciare un’impronta memorabile in un genere specifico come il country. E ci è riuscito con classe e naturalezza. La sua musica è quella musica da strada che potrebbe accompagnarti in un lungo viaggio da solo, quando cerchi di ritrovarti oppure di scoprirti per la prima volta. Townes Van Zandt è musica sacra. Una musica che si limita a suggerire, che ha come principale obiettivo quello di farti percepire qualche cosa che non hai già dentro di te, ma che devi guadagnare tu, ascoltando, passeggiando nel freddo, guidando ubriaco tornando a casa dopo una serata finita male. Musica fatta per gente sempre lontana da casa, gente in ricerca. Il punto è proprio questo: ascoltando Van Zandt, si ha sempre l’impressione di essere soli di fronte a qualcosa di incredibilmente forte, impossibilitati a volgere lo sguardo altrove, desiderosi di vedere meglio e di più. C’è sempre qualcosa di indefinitamente lontano e spettacolare verso la quale rivolgere la propria preghiera, o la propria canzone.
Townes è un musicista texano e la sua produzione, inevitabilmente, mostra un legame fortissimo con la sua terra: il suo country, finemente arrangiato ed estremamente ricercato sul versante creativo e melodico, è radicato nel clima rurale e abbagliante delle sue terre d’origine. Non parlo solo di Texas: il sound è figlio del Grand Canyon e degli spazi ariosi del Midwest; si avverte l’eco di Guy Clarck, di Willie Nelson, di Jerry Jeff Walker, ma la tenue malinconia evoca forse più le voragini esistenziali di Gene Clark, o di un Neil Young meno schizofrenico e acido della media. L’album “Townes Van Zandt” vede la luce nel 1969 ed è un capolavoro. Punto. Comprenderne la fragilità, la potenza evocativa, forse non è semplicissimo, ma risulterà totalmente appagante. E’ sufficiente la sbalorditiva freschezza del suo talento melodico per iniziare ad amarlo.
Pur inserendosi nel periodo delle canzoni politicamente e socialmente impegnate Townes non ha il piglio dei cantautori di protesta: il suo tono malinconico e fatalista prelude a lunghe riflessioni che analizzano, anzi dissezionano il rapporto di coppia, e più in generale le relazioni umane (basta dare un’occhiata alla copertina dell’album omonimo , al suo sapore domestico e apparentemente sereno per avere una vaga idea del personaggio). Era un cantante country dall’aria schiva, dall’aspetto dimesso. Nulla di più lontano da una rockstar, eppure in grado di imprimere al genere un’impronta intima e malinconica che lo rese celebre. La sua voce a tratti strascicata ha un potere evocativo che rende Townes il cantore degli spazi sconfinati del centro America che prendono corpo nell’anima di chi si appresti ad ascoltare la sua musica.

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