Blueneck – The Fallen Host (2009)

Torno, finalmente, a parlare di un gruppo post-rock: i Blueneck.

Ammetto di essere stato poco attento nei loro confronti, non li conoscevo fino a qualche ora fa, eppure si tratta di un gruppo molto interessante nel loro ambiente.

The Fallen Host è il secondo album di questo gruppo inglese, che strizza un occhio ai Sigur Ros e agli Explosions in the Sky.


(Depart from me, you who are cursed) ci fa entrare nel giusto mood, in modo da essere completamente immersi nel climax di Seven, completamente strumentale e con una curiosa presenza della batteria parzialmente distorta, come non sentivo da un pò.
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Un silenzio prolungato (parliamo di una decina di secondi) ci separa dal brano successivo, Low, in cui incominciamo a sentire strascichi di voce che si alternano alla chitarra. I primi sette minuti (si, con il post-rock si parla dei PRIMI sette minuti) introducono degnamente la batteria e la chitarra in pieno stile Explosions in the Sky e Mono.

The Guest va avanti lentamente, con il cantante che ci guida accompagnandoci per mano, quasi raccomandandoci di rimanere tranquilli, fino all’esplosione di tutti gli strumenti, in questo caso in pieno stile God is an Astronaut. Le ultime note della canzone, al pianoforte, ci collegano alla successiva, Children of Ammon, in cui il gruppo sperimenta sottili effetti elettronici, in un’atmosfera cupa, senza cambiare mai il motivo in sottofondo.

Weaving Spiders Come Not Here sembra portarci verso un tramonto triste, in attesa di una probabile visita durante la notte di persone non invitate.

Lilitu è forse la canzone meglio strutturata dell’album: una voce dolce, accompagnata dal pianoforte, trova come compagni gli archi, dando un effetto di rassicurante tranquillità. La voce non ci lascia per tutti i nove minuti del brano, nemmeno durante l’unione di tutti gli strumenti.

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Revelations chiude quest’album, riuscendo a presentare diverse qualità all’interno dei suoi dieci minuti di durata: inizialmente calma, trova un’esplosione lunga quattro minuti al centro del pezzo, per poi terminare nuovamente quasi come fosse un sottofondo.

A chi consiglio l’ascolto di quest’album? Come avete potuto notare ho fatto riferimenti sparsi a vari artisti, Explosions in the sky, God is an Astronaut e Mono. A questi aggiungerei la somiglianza con i Mogway in alcune parti, e proprio a causa di questi paragoni sento di poter consigliarne l’ascolto a tutti gli amanti del post-rock, per sentire qualcosa di forse già ascoltato, ma in ogni caso riprodotto magistralmente e con la presenza mai seccante della voce.

 

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