WEST COAST ROCK WILL NEVER DIE: IL CONCERTO DI CROSBY, STILLS AND NASH A ROMA

CSN Roma 2015

 

 

 

 

4 ottobre 2015 ore 21:04 (per precisione maniacale) lo splendido Auditorium di Roma risuona delle note potenti ed energiche di “Carry on”. Un vistoso salto indietro nel tempo, una decisa rievocazione storica di un periodo socio-musicale mitico tramite le canzoni immortali del West Coast Rock. Sul palco la visuale di tre scatenati rockers di 70 e più anni che mi colpiscono al cuore come forse non mi è mai accaduto in un concerto.. Ebbene sì, finalmente sto ascoltando dal vivo Crosby, Stills and Nash. Sul palco non c’è solo il trio più emblematico del rock della costa ovest degli Stati Uniti, ci sono anche i 3 musicisti che avviarono un riuscitissimo sodalizio musicale con Neil Young, ci sono lasciti ed eredità di band precedenti, c’è l’impronta di The Hollies (Graham Nash), di The Byrds (David Crosby), dei Buffalo Springfield (Stephen Stills). Materiale abbondante per emozionare un pubblico già conoscitore e fan storico, ma anche un pubblico più giovane, curioso ed appassionato.

Stanno davvero in forma i 3 ex ragazzi di Woodstock. Nash è il più giovanile di tutti, con la sua voce limpida e i suoi piedi scalzi, fa un po’ la primadonna, dirige e coordina gli altri due. David Crosby ha questo aspetto immutato nel tempo fatto di capelli lunghi e barba, ormai di candido colore, che pare quasi un eroe della guerra di secessione. E poi Stephen Stills che forse è il più emozionato di tutti, lo deduco dalla sua voce non più potente come un tempo, a tratti tremula ma comunque inconfondibile. Lo capisco dall’attacco di “Carry on” che sarà un concerto da lacrima..è tutto perfetto. Suonano e cantano come allora. Il pubblico è subito sovraeccitato e il teatro risuona di urla di gioia e di daje! Da “Carry on” si passa a “Marrakesh Express”, un inizio energico e gioioso. Poi si lascia spazio ai pezzi più profondi, alle ballate d’amore, alle canzoni di protesta e impegno sociale. In una sorta di crescendo si entra in una dimensione sempre più intima. Ascoltiamo “Long time gone”, “Just a song before I go”, “Southern cross”. Si crea un’alchimia sempre più forte con il pubblico, l’atmosfera è calda e partecipe..dove siamo? A Roma in un teatro nel 2015? Oppure a Woodstock nel 1969? Davvero le dimensioni spazio-temporali vengono cortocircuitate, ed è così che dovrebbe essere quando si ascolta una band del passato, di quel passato così denso di significato e valore soprattutto. E tutto ciò è grandioso. I pezzi non vengono stravolti e cambiati per il desiderio (malato) di essere moderni e conquistare tutti. I pezzi vengono eseguiti come allora. Loro sono Crosby Stills and Nash, rappresentano un’epoca, un genere musicale, un set di valori, sentimenti e visioni del mondo. Chi è lì ad ascoltarli vuole sentire questo, perché in questo crede. E’ lodevole la coerenza musicale che li contraddistingue. Hanno la grinta che avevano in gioventù e la capacità di attualizzare musica e sogni senza tempo. Le loro mitiche armonie vocali sono quelle dei loro 20 anni, rimango allibita nel vedere con quanta maestria cantano “Helplessy Hoping” e “Guinnevere”, due pezzi che danno i brividi, che con le loro sovrapposizioni vocali toccano davvero le corde più profonde dell’anima. E’ visibile la commozione di Nash e Crosby che duettano su questi due brani.. E quanto è bello poi vedere quanto amore e rispetto per la Musica ci sia in loro. Nash in diverse occasioni, fra una canzone ed un’altra, dà molto risalto ai formidabili musicisti che accompagnano il trio da ormai tanto tempo. Li presenta, li fa applaudire più volte, lascia che si cimentino nei loro assoli. Perché CSN è anche la squadra che da sempre li coadiuva, quei musicisti i cui nomi non compaiono nel nome ufficiale della band ma che ne sono parte integrante. Arrivati a metà concerto il pubblico palpita di emozione e anche di aspettative. Nel breve intervallo fra la prima e la seconda parte dello spettacolo sento diverse persone che aspettano, con un po’ di comprensibile impazienza, che i tre facciano quei pezzi imprescindibili. E verranno (verremo) accontentati. Ecco Crosby con la sua “Almost cut my hair”.. “Almost cut my hair, it happened just the other day. It’s getting kinda a long, I coulda say it wasn’t in my way” ..” a momenti tagliavo i mie capelli”… un inno contro il conformismo, il bigottismo di quelli che additavano i capelloni come parte malata della società. Un inno contro il pregiudizio, ancora attuale. Il buon Crosby ci mette l’anima, il pubblico scalpita.. Io mi domando quando arriverà ed eccola.. parte “Our House”, una delle ballate d’amore più belle di tutti i tempi. Bella perché semplice, immediata, diretta, incantevole nella sua descrizione di uno scenario bucolico e rassicurante da condividere con il proprio amore..scritta da Nash per Joni Mitchell, sua compagna di allora. Come da copione il pubblico la fa da padrone su questo pezzo, tutti lo cantiamo, noi siamo idealmente sul palco e Crosby fa il gesto di porgerci il microfono in un rituale bellissimo di fusione artistica, di mescolamento dei ruoli. La stessa cosa accade per “Teach your children”, dolcissima ballata che parla di figli, di genitori, di valori da trasmettere, di regole di vita perché anche gli hippies avevano, ed hanno, una loro condotta morale. E quindi siamo giunti agli sgoccioli della performance. Il gran finale (quasi in una sorta di circolarità per cui si torna ai pezzi gioiosi dell’apertura) prevede la suite della band, il pezzo da 90 per durata e varietà stilistica… “Judy blue eyes”, composito pezzo che si narra venne ispirato dagli occhi blu della folksinger Judy Collins. Una trascinante ballata d’amore e di allegria, nel corso della quale i tre hanno riversato tutta la loro maestria e anche amore per la sperimentazione, le sonorità latino americane dell’ultima parte del pezzo la dicono lunga.. Suonata e cantata come nel lontano 1969. Perfetta. ..Long time gone, appunto, eppure Crosby Stills and Nash sono ancora qua.

Sara Fabrizi

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