Plini – Handmade Cities (2016)

a2040672325_10Un album che si colloca sulla scia del nuovo progressive, stavolta strumentale da un chitarrista emergente, che sta riscuotendo un discreto successo per la sua estetica sognante, pastello e i suoi tratti suggestivi.

I suoni sono positivi e sorridenti e le ritmiche sono stimolanti in quell’espressione unica che solo il prog può rendere.
La fruizione dell’album mi ha ricordato molto quella dei Polyphia di Renaissance, recensito su questo blog.
La raccolta copre “soli” 34 minuti e incita l’ascoltatore meno distratto a più ascolti consecutivi per cogliere tutte le sfumature delle tracce.

I contenuti ci sono (sì, è strumentale, ma parliamo di contenuti lo stesso), anche se il progressive si sente più nella tecnica compositiva che nell’approccio al brano e all’album, che non li vede come parti organiche ed omogenee. L’album va letto insomma come una raccolta di brani singoli, ed il progressive è qui più un riferimento che un genere di appartenenza.
Comunque l’ambiente creato è particolarmente interessante se lo si riconosce come un ibrido di un certo tipo di post-rock e una chitarra prog. E qui sta la vera innovazione.

Un consiglio di ascolto per tutti, anche (forse specialmente) per i meno avvezzi al progressive tradizionale.

 

Pubblicato da

Manuel D'Orso

Nel collettivo dal 2013, INTJ, appassionato di metal e musica sperimentale.

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