Non potevo non scrivere qualcosa che celebrasse questi ragazzi di Terni.
Fanno un jazzcore che manco gli Zu e chiamano ogni pezzo con nomi di personalità simbolo della libertà di pensiero evocando i soprusi che hanno subito. Non so se mi spiego.
Tutte le riflessioni che possono scaturirne le lascio a voi come parte dell’esperienza-album.
Si autodefiniscono con un math che lascia intuire un certo calcolo e/o un qualcosa a che fare col math rock e l’arte performativa.
Musicalmente riescono a creare qualcosa che si sentiva nei primi Zu e in qualche progetto di John Zorn. Materiale preziosissimo.
In Italia con questa roba siamo più forti di quanto pensiamo. Ed ora è sabato sera, quindi le frasi con le subordinate scordatevele.
Ah, e la matrice anarchica.