Autore: Creedence Clearwater Revival
Titolo Album: Born On The Bayou
Anno: 1969
Casa Discografica: Fantasy Records
Genere musicale: Rock
Voto: 9
Tipo: LP
Sito web: http://www.creedence-online.net/
Membri band:
John Fogerty – voce, chitarra, sax tenore, armonica a bocca, tastiere
Tom Fogerty – chitarra, voce
Stu Cook – basso
Douglas “Cosmo” Clifford– batteria, voce
Tracklist:
1. Born On The Bayou
2. Bootleg
3. Graveyard Train
4. Good Golly Miss Molly
5. Penthouse Pauper
6. Proud Mary
7. Keep On Chooglin
Dopo il primo album, quello omonimo, che lancia e consacra i CCR, arriva Born On The Bayou che consolida e radica la loro presenza sulla scena del Rock. Messi apparentemente in sordina (ma mai abbandonati!) i toni prevalentemente blues degli esordi, è qui che avviene di fatto l’emancipazione dal continuum blues e l’approdo alla forma minimale chitarra-basso-batteria. Ossia la forma che inventa il loro Rock: semplice, essenziale, eterno. E il compimento di questa “rivoluzione” e crescita musicale assume le sembianze di un deciso country-folk rock. 7 brani, durata totale di poco più di mezz’ora, un concentrato di sano rock che vede stavolta soltanto una cover e per il resto alcune indiscusse pietre miliari. Il primo brano è quello che dà il titolo all’album, Born On The Bayou. Oltre 5 poderosi minuti sul territorio di confine fra soul e blues. Un vero e proprio trip sul Delta del Mississipi che lascia spazio a volumi e riff quasi da hard rock ante licteram. Potentissimo. Un album che si apre così non può che promettere bene. Quindi passiamo al secondo pezzo, Bootleg. E’ il pezzo più breve dell’album, poco più di 3 minuti. Un boogie veloce e ritmato in cui la chitarra acustica la fa da padrone, come nella migliore tradizione blues. Sempre questo blues, da cui i CCR si emancipano e ritornano al contempo, reinventandolo in una chiave rock accessibile a tutti. Vero e proprio leit motiv della loro produzione musicale. Il terzo brano è Graveyard Train. Una lunga cavalcata blues, più di 8 minuti. Chiudiamo gli occhi e arriviamo dritti al Delta del Mississipi, tra paludi e voodoo. Qui l’anima nera di Fogerty viene fuori come poche altre volte. Pezzo scuro ed oscuro, a tratti ipnotico, con un basso e un’armonica che ti si infilano nel cervello in maniera ossessiva. Ascoltare un brano del genere diventa sempre un’operazione multisensoriale, non si ascolta semplicemente..,si immagina in maniera iperrealistica e si viaggia! Il quarto pezzo rappresenta l’unica cover presente. Good Golly Miss Molly. Chissà cosa avrà pensato Little Richard nel sentire riarrangiare così la sua celebre hit del decennio prima. Vero e proprio tributo a uno dei padre putativi del Rock n Roll. Sfrenato e carico di riff. Una versione davvero formidabile che avrà lasciato a bocca aperta anche i suoi genitori biologici, il duo Blackwell – Marascalco. Il quinto brano è Penthouse Paper. Anche qui è il blues a farla da padrone, con la chitarra di Fogerty in assoluta evidenza e un riff che ricorda I Ain’t Superstitous di Howlin’ Wolf. Quindi giungiamo al sesto brano: Proud Mary. E qui il titolo non necessiterebbe nemmeno di un corollario. Tanto famoso e coverizzato è il pezzo. Una hit che più hit non si può. Il primo vero grande “successo” di Fogerty. Semplicemente una delle canzoni più famose, vendute e cantate al mondo. Stavolta non c’è ombra di blues. Raccontando la storiella di questa Mary, volitiva ed emancipata, il cantautorato americano si veste di country rock dopo decenni di blues nero. Ed al famigerato blues (nello specifico rhythm n blues) si torna con il brano che chiude l’album. Keep On Chooglin. Oltre 7 minuti di assoluto godimento. Ritmo incalzante e sfrenato, e un’armonica alla Canned Heat. Un finale quasi hard rock. Un brano che conferma l’anima nera di questo loro secondo lavoro, il più “Delta del Mississipi” della loro carriera. Un album scritto e realizzato in pochissimo tempo. Che ha bruciato i tempi e che con altrettanta rapidità si è imposto prepotentemente all’attenzione del mondo del Rock.
Sara Fabrizi