Neil Zaza Band & Simone Fiorletta Band @ Auditorium New Orleans, 22 Marzo 2017

Chi conosce la provincia (di Frosinone e non) saprà quanto è difficile trovare un concerto che non sia solo divertente ma anche interessante.

È questo però il caso dell’evento che ha visto ospiti due band guitar-driven e strumentali: una indigena, capitanata da Simone Fiorletta (Rezophonic, conosciuto anche per la militanza nel gruppo prog Moonlight Comedy) con Gianfranco De Lisi al basso e Marco Aiello alla batteria; l’altra statunitense con Neil Zaza, chitarrista conosciuto in tutto il mondo per il suo stile neoclassico e molto melodico.

L’apertura della Simone Fiorletta Band è di respiro internazionale e di alto bordo, con un sound melodico tipico di un certo hard rock americano (mi vengono in mente i Polyphia) senza però sfociare nel metal progressivo. Grande attenzione (e sfoggio di) tecnica con conseguente apprezzamento dei chitarristi in sala e un accompagnamento in trio all’altezza.
Ci si aspetterebbe forse una maggiore maturità della forma canzone nei brani, dato che, per quanto curati siano i singoli suoni degli strumenti che li compongono, sono carenti di una struttura che li renda più “memorizzabili” e che dia una fingerprint, una firma ad ogni brano.
Aspetto che nella musica strumentale, che rinuncia al testo, e melodica, che rinuncia alla sperimentazione, è piuttosto rilevante. Scelta questa, se di ciò si tratta, che si trova agli antipodi con quella, ad esempio, dei The Aristocrats che puntano tutto sulla costruzione di “scenette sonore” con scansioni, tempi e generi anche molto diversi tra pezzo e pezzo.
Altra opzione sarebbe quella scelta da alcune band con lo stesso stile chitarristico che vede questo gusto e questa tecnica utilizzati a favore della rinnovazione e sperimentazione sulla musica di genere.
Questa agnosticità non rovina comunque una piacevolissima performance live.

Foto Sabrina Simone

Venendo all’headliner della serata, Neil Zaza con il suo trio snocciola brani, perlopiù cover, alternando rivisitazione di brani classici a pezzi più originali (o comunque più densamente interpretati) e ancora a brani conosciutissimi del pop e del rock. Saltellando tra la 5° sinfonia di Beethoven e Take On Me degli A-Ha (che mi ha gasato non poco) il palco trasmetteva una interpretazione molto sentita ed espressiva, con una batteria tosta, metal e un basso di solido supporto.
È evidente che il ricorso alle cover è un necessario espediente per dare corpo ad un concerto che finirebbe altrimenti coperto da un alone di monotonia.

Le esecuzioni sono divertenti e trascinanti e non lascerebbero mai l’amaro in bocca ad uno spettatore live. Si nota però l’evidente scelta di non rischiare con una scaletta di soli pezzi originali (che pure Neil Zaza ha in abbondanza), che soddisferebbe solo una certa percentuale degli spettatori, preferendo invece pezzi di sicuro impatto.

Foto Sabrina Simone

Sicuramente ci sono anche da prendere in considerazione esigenze di arrangiamento di pezzi per il trio, dato che Zaza va in tour in trio in tutto il mondo e non può che scegliere scalette rodate e affermate.

Ad ogni modo le due band sono accomunate dal loro grande senso della melodia e dalla sbalorditiva tecnica chitarristica, e insieme hanno trasformato un anonimo mercoledì sera di provincia in un momento di celebrazione della chitarra rock.

 

Interwaste – Lambstone (Hunters & Queens, 2017)

Ho avuto modo di fare 2 chiacchiere con i Lambstone, formazione rock milanese che nel 2015 aveva debuttato su Virgin Radio con il singolo “Grace”.

Il gruppo si ispira alla grande scena americana dell’alt-rock e post-grunge millenial, che fa molta presa sul pubblico rock italiano che storce invece il naso al rock Made in Italy. Sicuramente forti di un sound sdoganato e radiofonico, i Lambstone hanno avuto la necessaria determinazione e capacità di composizione per un prodotto musicale commercialmente appetibile, nel senso buono.

CW: Ciao, qui Manuel per Collective Waste.
Nel 2015 ci sentimmo per una intervista telefonica in occasione dell’uscita di Grace. Vi sentite in qualche modo evoluti in questi ultimi 2 anni?

L: Ciao Manuel, grazie per ospitarci nuovamente! Sì, decisamente. Abbiamo fatto un lungo percorso di crescita creativa e musicale coadiuvati da un grande produttore artistico, Pietro Foresti, produttore multiplatino di esperienza internazionale.

Con Grace avete pubblicato un singolo rock molto orecchiabile e sicuramente radiofonico e Hunting segue un po’ la stessa scia. Avete avuto risultati soddisfacenti dall’ultima produzione ad oggi?
Assolutamente sì, abbiamo fatto molte esperienze, partecipando a festival importanti e portando la nostra musica in molte città italiane.
Ora il nuovo singolo Hunting è in rotazione su molte radio italiane.

A livello di testi quali temi preferite affrontare? Ho potuto ascoltare più di qualche riflessione sui momenti di forza e debolezza nella vita.
I testi nascono dalle esperienze di vita di tutti noi, dalle emozioni che proviamo, da quello che ci colpisce. Sicuramente uno dei nostri motti di vita è mai arrendersi.

Ascoltando “Jesus” da Hunters & Queens viene inevitabilmente voglia di chiedervi qualche spiegazione.
Jesus Mezquia è il nome dell’assassino di Mia Zapata, cantante del gruppo di Seattle The Gits, uccisa da uno sconosciuto il 7 luglio 1993, ma solo 10 anni dopo il nome del colpevole fu scoperto grazie alla prova del DNA.
Il nostro è un omaggio a Mia, a Seattle e alle donne vittime di violenza.

Perché avete scelto proprio Dust In The Wind dei Kansas come cover track?
È un pezzo che amiamo nella sua versione originale e sia come testo sia come atmosfere ci sembrava adatto per essere rivisitato in chiave Lambstone.

Una domanda fuori tema per conoscervi di più: ultimo concerto ascoltato insieme?  
Il concerto dei nostri amici e “soci” Rhumornero.

Direi che questo è tutto. Grazie e a presto!
Grazie a te e a tutta la redazione!

 

 

Iguana Death Cult – The First Stirrings of Hideous Insect Life (2017)

Psychedelic rock che strizza l’occhio al surf per un secondo album (è sempre il più difficile nella carriera di un artista cit.) molto piacevole da ascoltare in loop.

Il singolo Can of Worms ricorda qualcosa dei Primus, e pezzi come Jellyfish e The Dreamer fanno sentire un po’ in estate, con una birra in mano al sole.

Non mancano però i brani che fanno tamburellare i piedi come Mutterschiff 308 e Voodoo Mirror. Ci vuole determinazione e immaginazione per avere le uova d’oro della gallina dello psych rock.

Da tenere d’occhio.

 

Heteroticisms Volumes 1 to 4 – V.A. (Land Animal Tapes, 2016)

Si tratta di un progetto di musica elettronica sperimentale ad iniziativa della netlabel californiana Land Animal Tapes, che rilascia dischi in cassette in serie limitata e in formato digitale con la formula del “name your price”, ossia paga quanto vuoi.

A questo progetto hanno partecipato diversi artisti, con un leitmotiv più o meno comune e apportando ognuno il suo contributo stilistico. Si tratta di musica d’ambiente sì, ma per un ambiente particolare. Per una stanza vuota semibuia dove si medita, per uno spazio dove si legge, per uno stanzone industriale con opere d’arte, per una lunghissimo viaggio in aereo.

La raccolta nel complesso fa leva sulla delicatezza e l’ispirazione della composizione elettronica che non guarda indietro a nessun canone e sta solo a creare una atmosfera sonora da respirare.

Il primo volume è a firma TüTH / Heinali e si apre con suoni campionati prettamente elettronici e da un digeridoo, i cui echi formano sequenze ritmate ed immersive. Non si fossilizza e osa suoni orecchiabili prestati da altri generi come l’hip-pop.

Il secondo volume si dedica completamente ai sintetizzatori più “vecchia scuola”, ed è ad opera di Scattered Purgatory / Eolomea. È quello dai tempi più dilatati con 1 ora in 2 brani che procedono per grado di concentrazione sonora verso una rarefazione quasi completa.

Il terzo volume apre in continuità con il secondo, e con “Music for Imaginary Scenarios” si intraprende lentamente un viaggio in un mondo che vede l’equivalente sonoro di una vallata popolata da strane ritrose creature immaginarie. Chiusa la traccia di Anders Brørby se ne aprono 4 di Oomny Mozg tutte dallo stesso titolo (testa nera) ma sottotitolate diversamente a significare una suddivisione per capitoli di una stessa traccia più che per tracce diverse. Ogni brano utilizza sintagmi sonori affini al suo titolo: un ritmo rituale condensatamente orientale per il filisteo,  la voce umana per il professore, il cinematic per il terzo uomo, un suono tratteggiante per lo scriba. 

Il quarto ed ultimo volume vede la coppia Aidan Baker X Lärmschutz dove la X sostituisce la / tipica degli split album, a suggerire che i brani sono composti a quattro mani. Aidan Baker è forse più noto rispetto agli altri per le sue molteplici composizioni di buon successo nel suo genere.
Ci troviamo qui davanti all’espressione più autentica della composizione minimale elettronica ambientale contemporanea. In due atti per un totale di 40 minuti si è trasportati con un ascolto che sprofonda da subito e per la sua intera durata. Per la pace dei sensi e la meditazione tanto quanto per un ascolto attento, come si conviene ai capolavori.

Complimenti a tutti gli artisti e alla label per un progetto davvero ben riuscito.

 

Human Colonies – Big Domino Vortex (2017)

La formazione vive a cavallo tra Bologna e Firenze fin dal 2013, ed è al suo secondo EP.  Pubblicheranno a fine mese il loro secondo EP dal titolo Big Domino Vortex, che a me fa pensare alla colonna sonora di questo:

Il sound è tra lo shoegaze più classico e le sue sonorità invece più contemporanee, specialmente SIRIO che ricorda piacevolmente gli A Place To Bury Strangers.

Sicuramente ispirati, cavalcano l’onda dei fuzz e dei feedback lunghi nell’aria dagli anni ’90 ad oggi. Negli anni appena trascorsi questo genere ha infatti visto nuova luce grazie alle zaffate no wave di derivazione underground e afferra le radici di quel noise pop che sta prendendo piede anche in Italia (vd. italogaze) influenzando i testi sulla banalità e la superficialità di un certo vivere contemporaneo di più  di qualche giovane cantautore italiano.

Un bell’ascolto.
Saranno sul palco del Monk di Roma il 27 Gennaio a presentare questo EP insieme a Weird. e Tiger! Shit! Tiger! Tiger! .

 

 

 

dal loro precedente demo BLURRED DREAMY CLOUDY FUZZY SOMETHING

Top 10 Albums 2016 (Manuel Edition)

Eccomi al consueto appuntamento con i miei album preferiti per il 2016 (approfitto per invitarvi a rispolverare le versioni 2015 e 2014).
Non si tratta di una classifica ma di una raccolta in ordine sparso.


I titoli:

Art As Catharsis Records – Sampler 2016

Questa etichetta di Sydney merita davvero una menzione sul nostro blog.
Molti degli artisti nel suo roster sono stati seguiti dal buon Marco (come gli Slimey Things ) e molti sono stati inseriti nella nostra playlist dedicata a free jazz & co on air ogni Venerdì di Dicembre alle 17 (Mister Ott, Kurushimi).
In questa reviewaste (vi sarete accorti di quanto waste siano le recensioni di questo blog) voglio superficialmente scoprire le band in esso contenute.

Andando non in ordine di tracklist ma per macrogeneri (l’etichetta ne ingloba diversi) partirei dal jazz: i Kurushimi fanno un free jazz contemporaneo e molto interessante, ispirato al giappone (e forse alle sue stranezze), mentre i Mister Ott producono un prezioso ethio-jazz con qualcosina di moderno in più rispetto al maestro Mulatu Astatke.

Courtesy of needsmorenoisegate.blogspot.it

Passando ai suoni più metallici, nella selezione ci sono i Fat Guy Wears Mystic Wolf Shirt (di cui abbiamo una diapositiva) che fanno un post-hc che raramente è così attraente dopo i migliori The Fall Of Troy e The Dillinger Escape Plan, ed i più aggro Diploid che percorrono invece la strada più sporca verso un extreme metal scatenato e feroce.
Li seguono i NO HAVEN con un crust/post-metal che stimola molto ad approfondire il loro sound e i Siberian Hell Sounds, su un crust più blackened e straziante.
Gli Hashshashin sono invece più dediti allo stoner e nel brano selezionato, Immolation, danno mostra al meglio della loro abilità nell’inserire suoni orientaleggianti in fraseggi complessi. In altri brani ricodano alcune sperimentazioni di Six Organs Of Admittance (ne abbiamo parlato nella puntata 5×13 ).

Gli Slimey Things si accollano il genere più Pattoniano della selezione con Versus Mode, ispirazione fruttuosa e ben riuscita.

A intermezzo e a chiusura dell’album ci sono due brani decisamente più distesi, rispettivamente di Hinterlandt e Wartime Sweethearts. I primi sognanti (Chase a Dream) con fiati e violino e con una ben apprezzabile composizione musicale, i secondi melodici (Tunng, brit) tutt’altro che banali e molto piacevoli.

Complimenti vivissimi alla label che non ha sbagliato un colpo in questo sampler 2016 e che continueremo a seguire.

Simulacro – Echi dall’abisso (2016)

L’italiano è importante. Ascoltando questo album capisco perché il true norwegian black metal è quasi sempre in norvegese. Per quanto sia vero che l’inglese è più universale, le parole hanno un altro peso in madrelingua.

Questo album è post black metal, con un continuo eloquio nichilista e con lo sguardo orgogliosamente vacuamente rivolto in avanti.
È profondo, in prima persona, esplora la condizione umana nichilista in un modo probabilmente unico, almeno nel suo genere.
La vita con la violenza umana, la psicologia del coraggio e della vergogna, della prospettiva sul vuoto.

L’album lo accosto mentalmente all’ottima produzione del Movimento d’Avanguardia Ermetico e ai Tundra, specialmente per la loro traccia in italiano.

La struttura stessa dell’album è interessante: i brani sono echi (I, II, III etc). Come dice il titolo questi brani sono suoni buttati nell’abisso, e che tornano a noi come echi.
Perfetta metafora musicale dell’aforisma nichilista “E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”.

Verso preferito:

Dissipata la luce
che da forma alle idee
l’anima ne intuisce l’essenza
l’estasi del mistico
gnosi di essere l’uno con il tutto
l’essere il nulla

 

Relapse Sampler 2016

Anche quest’anno Relapse Records ha rinnovato l’iniziativa (bellissima) di un campionario liberamente scaricabile dalla sua pagina bandcamp, per mettere così in mostra tutte le uscite di questo anno 2016 che volge al termine.

coverBen 40 tracce da 40 album e 40 artisti del genere di riferimento di Relapse, ossia il metal e l’hard rock. Come l’anno scorso e come per il sampler primaverile di Nuclear Blast ad aggiungere un breve commento per ogni traccia.
Quest’anno per fortuna il campionario è corredato da un booklet con una piccola intro sulle band, quindi non mi dilungherò particolarmente nei dettagli.
Dato il numero di tracce metterò anche un simpatico curoricino ♥ vicino alle mie tracce preferite.

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Dario Germani – Fog Monk (2016)

Dario Germani è un contrabassista classe ’84 e introduce da sé la sua ultima opera in questo breve video:

L’album è quindi dedicato a Thelonius Monk ed è direi un album in un senso un po’ più autentico del solito: è una collezione, una raccolta di 3 Long Playing composti di 10 brevi brani ognuno.

Il principe è il contrabbasso, suonato in solo.
Il testo di accompagnamento al disco a firma di Francesco Martinelli spiega che Monk stesso insegna il peso della nota, del suo campo gravitazionale e geometrico, tema fondamentale del primo LP, che richiede quindi un ascolto quantomeno educato, un po’ come con una guida ad una mostra.
Nel secondo LP invece il colore predominante è il blu. Variazioni e interpretazioni sonore sul blues, che si vuole quasi sottointeso nell’orecchio dell’ascoltatore.
La terza collezione vede la splendida compagnia femminile della cantante Valeria Restaino. Scelta che dà corpo all’album nel complesso e lo rende certamente più espressivo e meno clinico ed ermetico.

img_20161107_212618_220I diversi approcci alla musica di Monk, la limpidezza della registrazione e qualche accortezza (intro spoken dello stesso Monk, un’alternate take divertente, inserti “fisici”) rendono l’album una buona esperienza d’ascolto. Da non lasciare però al sottofondo o ad un ascolto distratto e periferico.

È una bella sensazione posare l’orecchio su una produzione così cristallina e con la precisa vision di una esplorazione in profondità e interpretazione espressiva di un autore così conosciuto e studiato.

Consigliato a tutti gli ascoltatori di jazz con buona soglia di attenzione e ai jazzisti maturi.

Stampato su vinile e disponibile su iTunes, pubblicato a nome GRM records, etichetta dello stesso Germani.