Trevor Something – Die With You (2017)

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    • Artista: Trevor Something
    • Album: Die With You
    • Anno: 2017
    • Genere: Alternative Rock
    • Durata: 29:13


1.

Buried Alive 04:11

2.

I Don’t Care 02:48

3.

Suicide 03:57

4.

Feel the Waves 04:39

5.

Out There 02:37

6.

You’re Always Right 03:04

7.

Heartbreak 02:40

8.

Disappear 05:12

Il Cerchio Medianico (Un’opera prop di Stefano Agnini) (2017)

Se vi chiedete cosa voglia dire prop (io me lo sono chiesto), ve lo dico subito: prog-pop.  E già qui è interessante notare come si possa concepire un’opera prog pop. SPOILER: non si può.
L’album infatti ha a che fare con il prog solo per quanto riguarda “l’outfit” (l’estetica scelta, la composizione dell’album etc) e non nel modo di suonare o nella musicalità.

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Matt Owen – Peace in the Eyes of the Pure

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    • Artista: Matt Owen
    • Album: Peace in the Eyes of the Pure
    • Anno: 2017
    • Genere: Prog Psychedelic Rock
    • Durata: 32:32

1.

Martian Sunrise 05:22

2.

Poisoned Atoms 04:01

3.

Ambitious Banishment 04:02

4.

Revolution 05:55

5.

Sun Machine 04:54

6.

We’re All Martians Here 04:28

7.

Andromeda’s Yesterday 03:46

 

Ingurgitating Oblivion – Vision Wallows In Symphonies Of Light (2017)

Il gruppo berlinese ci ha abituato ad ottime produzioni death ma con questo ultimo lavoro sono addotti ad un livello superiore. Insieme ai colleghi neozelandesi Ulcerate, con particolare riferimento a Shrines of Paralysis, hanno conquistato un posto in un nuovo genere che sta emergendo nel panorama death: una nuova ondata di progressive death metal. Il death troppo spesso soffre di eterni e ossidati stilemi 90s e si fa fatica a trovare qualcosa di diverso dal death tradizionale o brutal con degenerazioni varie. Il nuovo album degli Ingurgitating Oblivion ha invece preso la strada del progressive, progredendo verso una visione decisamente più articolata dei brani, proiettata in avanti glissando i canoni di minutaggio e atomicità dei brani.

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Simon & Garfunkel – Parsley, Sage, Rosemary And Thyme

Autore: Simon & Garfunkel

Titolo Album: Parsley, Sage, Rosemary And Thyme
Anno: 1966

Casa Discografica: Columbia Records
Genere musicale: folk

rock Voto: 9
Tipo: LP

Sito web: http://www.simonandgarfunkel.com/

Membri band:

Paul Simon – voce, chitarra
Art Garfunkel – voce

Tracklist:
1.Scarborough Fair/Canticle
2. Patterns
3. Cloudy
4. Homeward Bound
5. The Big Bright Green Pleasure Machine
6. The 59th Street Bridge Song (Feelin’ Groovy)
7. The Dangling Conversation
8. Flowers Never Bend With The Rainfall
9. A Simple Desultory Philippic (Or How I Was Robert McNamara’d Into Submission)
10. For Emily, Whenever I May Find Her
11. A Poem On The Underground Wall
12. 7 O’Clock News/Silent Night

Il nostro duo folk-rock, ormai consacrato da Sounds Of Silence, scalpitava di idee e creatività al punto da voler mettere in cantiere ed ultimare un altro album prima che l’anno 1966 finisse. Durante l’estate avevano buttato giù un po’ di canzoni e acquisito sempre più libertà creativa nei confronti della Columbia Records che, entusiasta per le strepitose vendite realizzate, non ebbe remore a lasciare tutto nella mani di Paul e Art. Il processo compositivo rimase lo stesso: Paul scriveva testi e musiche; insieme a Garfunkel le perfezionava e le arrangiava in studio; cantava col partner le tracce definitive. Tutto filava liscio e naturale. La maturazione musicale avviene di disco in disco e questo terzo tassello ne è una chiara prova. Ciò che salta subito all’orecchio è il perfezionamento degli arrangiamenti. Tutto diventa più raffinato, più ricercato. A partire dal titolo dei brani che prendono nomi piuttosto impegnativi. Il titolo stesso dell’album non è da meno, riprendendo il secondo verso della prima traccia. Parsley, Sage, Rosemary And Thyme, forte della maggiore maturità creativa del duo, dell’affinamento certosino del loro sound sempre più caratterizzante ed unico, diverrà un album best-seller ascoltato fino a consumarlo come poche altre pietre miliari. Il brano di apertura è Scarborough Fair/Canticle. Un canto tradizionale inglese del XVI secolo che tratta la storia di un soldato e che viene reso in una splendida ed onirica versione folk-psichedelica. Un autentico gioiello, da brividi sulla pelle. Uno di quei pezzi che al primissimo ascolto ti viene da pensare di non aver mai sentito nulla di così indescrivibilmente bello. Il secondo brano è Patterns. Pezzo molto godibile, qui il folk si apre a contaminazioni mediorientali. Una bella ritmica scandita dalle perfette armonizzazioni vocali cui ormai il duo ci ha abituati. Molto ricercato, senza mai cadere nello stucchevole. Il terzo brano è il delicato e dolce Cloudy. Insieme a The Dangling Conversation, settima traccia, rientra tra quei pezzi S&G che suonano come vere dichiarazioni d’innocenza. C’è la soavità e le atmosfere quasi rarefatte del primo album. L’anima più pura e primordiale del duo. Anche l’ottava traccia, Flowers Never Bend With The Rainfall è una perla nello stile degli esordi. E’ come se ci fossero dei pezzi S&G che sono più S&G degli altri. Quel marchio di fabbrica fatto di melodie delicate, atmosfere oniriche, armonizzazioni vocali che scavano nell’anima. Ed è lodevole che di album in album, pur nella giusta inevitabile crescita e relativo approdo a qualcosa di diverso, abbiano mantenuto una manciata di pezzi “classici” che sono lo zoccolo duro della loro identità. Stesso discorso vale anche per la decima traccia, For Emily, Whenever I May Find Her. Brano romantico, pervaso da suggestioni antiche ed oniriche rese nel consolidato sound del duo. Degna di particolare nota è la prestazione vocale di Art Garfunkel. I suoi toni dolci e misurati qui conoscono un crescendo emozionale notevole. Forse una prova generale di ciò che dovrà fare la sua voce nell’immensa title track dell’ultimo album, Bridge Over Troubled Water. Di dolcezza e malinconia è piena anche A Poem On The Underground Wall, undicesima traccia. Atmosfere metropolitane che celano poesia. La poesia è ovunque, anche in una fredda frenetica città come New York. Il pensiero mi va alla successiva grandiosa The Boxer, contenuta anch’essa nell’ultimo album. Azzardo a dire che quest’album contenga in nuce, in qualche modo, i semi dei successivi capolavori. Parsley, Sage, Rosemary And Thyme è un disco vario, ed eclettico. Si sentono forte la maestria e dimestichezza acquisite da Paul e Arty. E’ un album che contiene anche un brano che è una sorta di sperimentazione testuale surrealista, A Simple Desultory Philippic (nona traccia) dove a mo’ di filippica, appunto, si prendono in giro un po’ bonariamente cantanti e personaggi illustri dell’epoca (tra cui Bob Dylan, Mick Jagger, Andy Warhol). Un brano con uno stile folk-rock molto vicino al sound del Dylan post ’65. Troviamo in questo disco anche echi decisi del rock beatlesiano: The Big Bright Green Pleasure Machine (quinta traccia) è molto debitore della lezione inglese. The 59th Street Bridge Song è la sesta traccia, delicata, ritmo che cresce in delle vocalizzazioni piacevolissime. C’è posto anche per un’amara invettiva in questo album. L’ultima traccia, 7 O’Clock News/Silent Night è uno stridente accostamento del traditional Silent Night con un drammatico bollettino radiofonico. La tematica dell’impegno sociale, che potrebbe sembrare avulsa dal folk intimista del duo, è solo latente. E poi c’è lei, Homeward Bound. Quarta traccia, pezzo di sicuro e facile impatto. Una hit all’epoca. L’alternanza fra un placido, tenue, folk e un country veloce e ritmato, l’accelerazione che si crea in questo pezzo lo rendono accattivante e memorabile. Uno di quei brani che fanno bene al cuore. In che modo Paul e Arty riusciranno a stupirci ancora?

Sara Fabrizi

Vintage Love – Singles (2017)

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    • Artista: Vintage Love
    • Album: Singles
    • Anno: 2017
    • Genere: Alternative Rock
    • Durata: 16:33

1.

Cool Girl 02:47

2.

Carnival Queen 03:50

3.

‘Bout Love 03:22

4.

Lights of London 03:00

5.

Talk is Cheap 03:31


Spookyman- Spookyman

Autore: Spookyman

Titolo Album: Spookyman
Anno: 2016

Casa Discografica: Autoproduzione
Genere musicale: Blues, Soul, Folk, Ballad, Gothabilly

Voto: 9
Tipo: CD

Sito web: http://www.spookyman-music.com/

Membri band:
Giulio Allegretti a.ka. Spookyman – voce, chitarra, banjo, armonica, tamburello, kazoo e foot percussions

Guests:
Antonia Harper – back vocals
Matteo Acclavio – baritone sax
Carmine De Michelis – piano
Guglielmo Nodari – lap steel

Tracklist:
1. Friendly Woman
2. Bad Things
3. Distress
4. Remember Rain
5. Keep Movin’
6. Cotton Fields
7. Help Me
8. Breakfast By The Window
9. October Song
10. In Dreamin’
11. Maryann
12. In The Rain

Il Blues delle origini, quello nato sul Delta del Mississipi, con il suo carico di malinconia e forza di reazione è un’attrazione verso cui tutti i musicisti finiscono col gravitare. Del resto tutto nasce dal Blues. E Giulio Allegretti, in arte Spookyman, deve saperlo bene. Giovane, classe 1986, romano, e proveniente da esperienze musicali variegate (garage, country, rockabilly), ad un certo punto viene risucchiato nel vortice del Blues. E si reinventa one man band, suonando di tutto e di più (voce, chitarra, armonica, kazoo, stomp-box, valigia, cembalo), scrivendo pezzi malinconici ed autobiografici, eseguendoli con il piglio deciso ed altamente emozionale dei grandi che di sicuro lo hanno ispirato. Robert Johnson, Skip James, Bukka White, R. L. Burneside, John Lee Hooker. Solo per citarne alcuni. Tutta la grande tradizione del Delta Blues rivive in un album, il suo omonimo debut album, che suona attuale come solo la madre di tutti i generi può essere.
12 tracce intense, pulite e d’impatto. Anche nella performance live, cui ho avuto la fortuna di assistere, la sua capacità di comunicare la sua musica rimane fresca, diretta. Salvo poi “sporcarsi” di emozioni degne dell’esecuzione di un autentico bluesman. Spookyman racconta storie, le sue storie, che poi sono quelle di ognuno. C’è una donna, che fa capolino in diversi brani (Friendly Woman, Maryann) oggetto prediletto della narrazione blues. Se il Blues è pervaso di malinconia, sarà di sicuro l’amore a causare questo struggimento. E poi c’è il richiamo a condizioni antiche di sfruttamento e sofferenza (Cotton Fields), la dignitosa incessante lotta per la loro liberazione portata avanti dai neri d’America. Tematica che poi può diventare paradigmatica di ogni condizione umana di sopruso. Non è difficile sentire propri questi pezzi, e intravedere in essi il mondo. Il pathos dei pezzi più “sofferti” viene smorzato in altri brani che sembrano più leggeri e spensierati pur mantenendo quella malinconia di fondo come un marchio di fabbrica (Distress, Remember Rain). Una menzione a parte voglio farla per Keep Movin’. Subito rapita, trasportata in scenari lontani. C’ho visto e sentito Howlin’ Wolf. Quella ritmica incalzante, che scandisce così bene suono e parole. Quell’energia propositiva alla Smokestack Lightnin’ ce l’ho sentita dentro. Non serve aggiungere altro. Ogni amante del genere capirà. Un blues classico, un vero “bluesettone”, è Bad Things. Molto roots, bella ritmica, molto convincente. Proseguendo nell’ascolto del disco troviamo anche un pezzo decisamente blues rock, Help Me. Qui l’energia di un Rory Gallagher, di un John Fogerty. Ma anche, perché no, dei primi Black Sabbath quando Ozzy and co. facevano generose concessioni al Blues. Un brano quindi che a tratti sconfina nell’hard rock. Bella questa varietà stilistica all’interno dell’album. Un fortissimo filo conduttore fatto di Mississipi sound che ogni tanto cede ad altre suggestioni. Ci sono anche ballads folk in questo disco, come Breakfast By The Window e October Song. Quest’ultima in particolare presenta anche un richiamo alla tradizione degli stornelli romani, un’abile contaminazione che rende l’album ancora più godibile. Poi c’è un pezzo dal sound delicato, leggero ed estivo, In Dreamin’. Un brano con suggestioni soul molto fresco che mi fa pensare ad un artista recente, ma comunque inscrivibile nella scuola dei grandi interpreti blues, come Jack Johnson. Il pezzo di chiusura è una sognante ballad, dai ritmi molto rilassati e soft. In The Rain evoca una pioggia estiva, rigenerante, il miglior modo di chiudere il disco. Riprendiamo fiato, metabolizziamo e facciamo tesoro di tutto il Blues che, in diverse varianti, Spookyman ci ha egregiamente elargito.

Sara Fabrizi

Split Interwaste – Sedna / Seventh Genocide

Una doppia intervista per due band italiane della stessa scena, quella del cosiddetto post-black metal.

Da una parte i Sedna, matura formazione a 3 da Cesena al loro secondo full length con Eterno, dopo l’album omonimo del 2014 che già personalmente apprezzai. Attualmente militanti nella Drown Within Records.
Dall’altra i Seventh Genocide, band romana del roster Naked Lunch Records, con un album alle spalle, Breeze Of Memories, e uno in arrivo, Toward Akina. Si sono fatti notare con una impegnata partecipazione alla compilation ANTI-NSBM che il collettivo antifascista e anarchico The Dark Skies Above Us mette insieme dal 2015.

Ho fatto ad entrambi le stesse domande per scoprire di più su questa interessante scena che ho già segnalato più di una volta. Continua a leggere Split Interwaste – Sedna / Seventh Genocide

Interwaste – Silent Chaos

Nelle continue esplorazioni del collettivo nei vari underground si trovano le cose più interessanti. E guai a chi dice che in Italia ci facciamo mancare qualcosa.

Gli ossimorici Silent Chaos si definiscono “un duo, o meglio, un tutt’uno musicale”. Sono Ugo Vantini, “cresciuto e sviluppato in un brodo primordiale denso di progressive rock contaminato dal jazz e dal classicismo” e Marta Noone “che si è nutrita di musica industrial riecheggiante in costruzioni gotiche permeate di scariche elettriche”.
Quello che fanno è musica elettronica estemporanea, dalla quale “affiorano echi di musica concreta, cori, suoni tribali, noise e ambient”.

Gli abbiamo fatto qualche domanda per sbirciare dietro quel velo di ermetismo che copre questo genere di cose. Continua a leggere Interwaste – Silent Chaos

Buzzy Lao – Hula

Autore: Buzzy Lao

Titolo Album: Hula
Anno: 2016

Casa Discografica: INRI
Genere musicale: neo blues, roots reggae, alternative folk

Voto: 8
Tipo: CD

Sito web: http://www.buzzylao.com/

Membri band:
Buzzy Lao – voce, chitarra, weissenborn, footdrum
Mattia Bonifacino – basso, cori
Tiziano Salerno – batteria, percussioni

Tracklist:
1. Ora Che
2. Credi Di Amare
3. Stella Magica
4. Anche Il Vento Ti Cambierà
5. Lacrime D’Amore
6. Guerra Da Nascondere
7. Luna
8. Chiedi Chiedi
9. Le Luci Della Mia Ombra
10. Hanno Ucciso L’Amore
11. Buonanotte
12. Sentirai
13. Qualcosa C’E’

Dove un forte amore e propensione per il blues si contamina con il cantautorato italiano e con suggestioni decisamente black (roots reggae e tribali) troviamo Buzzy Lao. Interessante, giovane, cantautore/bluesman torinese che frulla insieme le sue preferenze e background musicale con una lunga esperienza nel Regno Unito. E così ti sforna Hula, un debut album di 13 tracce che pescano da generi diversi tenuti insieme dal filo rosso del blues. Dal folk al soul di ultima generazione al rock. Un melting pot di sonorità maturate in un arco di tempo relativamente breve (rilascia il primo singolo Lacrime D’Amore nel gennaio del 2015, l’album esce lo scorso 21 ottobre) e che esplodono fino a concretizzarsi in un lavoro che ha tanto il sapore della gavetta, dell’impegno alacre fatti anche dal tour in tutta Italia e dalla campagna di crowdfunding promossa per produrre e finanziare l’album. Una storia di passione quella che caratterizza il percorso professionale di questo giovane artista. La stessa passione che ritroviamo nei suoi testi che parlano della sua vita interiore (amori, amicizie, dolori) ma anche della vita esteriore (tematiche di impegno e di denuncia delle ingiustizie sociali, razziali e culturali). E che ritroviamo anche nel suo modo di suonare, in quell’uso eclettico e sincero della chitarra Weissenborn molto usata nella scena alternative blues (Ben Harper e John Butler). Man mano che si procede nell’ascolto di questi 13 brani, tutti così diversi tutti così unitari nello stile e nell’anima, si delinea chiaramente lo scenario neo-blues dove si colloca Buzzy Lao. Deve essere stata una gran bella soddisfazione per l’artista tornare in patria dopo un’esperienza fuori e aver potuto rielaborare sensibilità e stimoli provenienti da contesti diversi per realizzare canzoni in lingua italiana ma suonate in maniera così “internazionale”. E’ un disco che cattura, che ti prende per mano, track by track, e ti guida lungo il percorso artistico-personale-umano dell’autore e ti fa vedere con i suoi occhi il mondo. Un percorso il cui punto d’arrivo è da considerarsi l’album nella sua totalità, come strumento di riflessione e anche di superamento e guarigione. Raccontando e raccontandosi tramite la musica si può metabolizzare ogni dolore e ogni sconfitta e trarne stimolo per nuovi obiettivi, per una rinnovata propositività e positività. E si può anche spronare un cambiamento non solo individuale ma anche sociale. La funzione catartica dell’arte nella variante intimistica ed impegnata del cantautorato. Passando dai brani più cantautorali come Ora Che, Le Luci Della Mia Ombra, Qualcosa C’E’, a quelli più reggae e roots come Stella Magica, Hanno Ucciso L’Amore, fino a quelli più genuinamente blues come Credi Di Amare, Guerra Da Nascondere, Chiedi Chiedi, la tensione che si avverte fra racconto di sé e racconto del mondo è molto bella, a tratti commovente. Perché rivela la capacità dell’artista di mettersi a nudo e regolare i conti con sé stesso senza mai trascurare l’attenzione per la società, per i suoi mali, per il suo necessario cambiamento. E la commistione dei generi, sempre sotto l’egida del “dio blues”, è a mio parere perfettamente funzionale a questo approccio.

Sara Fabrizi